lunedì 21 gennaio 2008

L'unione con Dio

Storia di un laico che tende alla santità eroica attraverso il carisma dell’unità

L’unione con Dio
nell’esperienza di Igino Giordani

di Tommaso Sorgi

È una storia avvincente quella di Giordani per la sua personalità poliedrica ed evangelica allo stesso tempo. Scrittore affermato e politico, padre di famiglia e grande conoscitore dei Padri della Chiesa, egli incontrò nel carisma di Chiara Lubich una forma moderna per ridare ai laici il loro posto di protagonisti in seno al popolo di Dio. Con il suo apporto intellettuale e con la sua esperienza di vita ha contribuito perché la santità ritornasse ad essere patrimonio normale di tutte le vocazioni. Per questo la Chiesa ha avviato il suo processo di beatificazione.

Aveva 54 anni di età quando Igino Giordani conobbe Chiara; ed è lecito domandarsi: come aveva vissuto fin’allora il suo essere cristiano? Studiando la storia della sua anima e l’azione che in lui il Padre celeste aveva svolto, troviamo alcuni punti forti, scaturiti da precise letture.

a) La scoperta: chiamato alle armi nella prima guerra mondiale, non sparò mai «per timore di uccidere un figlio di Dio»(1): fu colpito lui (luglio 1916) subendo ferite gravissime. In ospedale, lo attendeva un appuntamento con Dio: gli Scritti religiosi di un laico, poi santificato, lo aiutavano a scoprire che anche in mezzo al mondo si può raggiungere la santità(2). Il giovane Igino (aveva 22 anni) iniziò una ricerca, in cui sarà perseverante per tutta la vita.

b) L’incendio: qualche anno dopo (ottobre 1922) meditò le Lettere di santa Caterina da Siena(3); per amore di lei si fece terziario domenicano; e più tardi dirà: fu «Colei che [per] prima m’incendiò dell’amor di Dio» (Diario di fuoco, 30.4.1963).

c) Il morire in Dio: durante la sua prima esperienza politica (1920-26), conduceva una vita intensa di preghiera e di esercizio ascetico onde migliorarsi in tutte le virtù; il meditare Estasi e lettere di santa Maria Maddalena de’ Pazzi, gli faceva fiorire il desiderio di «avviarsi a quello stato di amore “morto”» da lei indicato per annullarsi nel volere di Dio(4).

d) Monaco nel mondo: studiando san Giovanni Crisostomo per scriverne la biografia (1926-1929), rimaneva colpito dallo «struggente desiderio» di lui «che i coniugati vivessero nel mondo come i monaci, con in meno il celibato»(5); e se ne faceva un segreto ideale personale.

Innamorato di Dio
Considerava la cultura, l’impegno politico, la famiglia quali realtà fiorenti in seno alla Chiesa, quelle e questa da lui vissute come sacerdozio regale per testimoniare la sua fede d’amore a Dio («la fede è un fuoco», dichiarava(6) e il suo servizio d’amore all’uomo.
Nel 1941 iniziava un diario dell’anima, ch’egli penserà d’intitolare Dall’Io a Dio(7), ma pubblicato poi come Diario di fuoco. (In seguito verrà citato con la sigla Ddf).
Vi troviamo questi slanci: desiderio di avere «l’anima invasa dall’amor di Dio»; l’ansia di «umiltà e carità, servire tutti, sentirsi inferiore a tutti»; la volontà di «concrocifiggersi con Gesù» (1 e 2.5.1941). Avvertiva nel suo intimo una più viva tensione alla santità: «Infine, quel che conta è una cosa sola: farsi santi»; e cercava di raggiungere tale meta, ricordando a se stesso che «il santo è un cristiano con la spina dorsale» (Ddf, 13 e 27.5.1943).

Le difficoltà, i distacchi
Quasi a saggiare la robustezza della sua “spina dorsale”, il Signore lo metteva alla prova nei singoli campi del suo vivere: la cultura, la Chiesa, la politica, la famiglia.
Impegnato nella cultura della Chiesa ad alto livello, fu nominato direttore de Il Quotidiano; ricorsero dal Papa (Pio XII) contro di lui. Confessava a se stesso: «La esperienza di più amara sorpresa per te, ora, è questa: che nel fare il bene tu sia incompreso dai buoni, che nel difendere la religione tu sia offeso da creature religiose»; ma vi scorgeva una tattica divina: ciò avviene, si diceva, «perché il tuo bene sia tutto tra te e Dio, e non s’interponga lode d’uomo o, peggio, premio in terra» (Ddf, 29.10.1944).
Chiamato a candidarsi alle elezioni politiche, esitava ad accettare e si poneva questo interrogativo: «Può un uomo politico esser santo? Può un santo esser politico?» (Ddf, 6.4.1946). Fu eletto deputato. Dopo pochi mesi nel Diario di fuoco troviamo un’accorata preghiera: «Questo dolore e questa umiliazione servano a demolire la sovrastruttura della vanità e a rimettermi, anima nuda, di fronte a Te, Signore» (Ddf, 29.4.1947).
Cos’era successo? Il giorno prima era stato costretto a dimettersi dalla direzione de Il Popolo, giornale della Democrazia cristiana, per divergenze col segretario nazionale del partito(8). Nella sua attività di deputato stava trovando difficoltà forse più di quante se ne attendesse, ma comprendeva che erano «l’occasione offerta da Dio per farsi santi… nel fuoco della carità, con la sapienza dell’umiltà» (Ddf, 11.9.1947).
Un posto speciale ebbe, naturalmente, la famiglia. Sposatosi nel 1920, dopo tanti anni di idillio coniugale, Igino nel 1940 cominciava ad avere difficoltà. Nel Diario (2.5.1941) appena appena iniziato, egli grida al Cielo: «Signore, nella mia giornata questa è l’ora di lacerazione della mia carne “ecclesiale”… là dove questa carne nasce, nella famiglia… È la grande prova, in cui tutto quello per cui combattei pare sfasciarsi. Ma io mi sono abbandonato a Te; e checché avvenga, Tu non abbandoni me».
In un libro dell’anno dopo – La società cristiana – si poneva il problema della santità familiare; e sperimentava come per un coniugato fosse «più difficile che a un religioso santificarsi, perché deve santificarsi in due»; poi con i figli il problema «si dilata» e «si complica; ma tant’è, bisogna santificarsi insieme»; e ritiene che la maggiore complessità del problema il laico la risolve «quanto più amore prodiga». Egli parla della famiglia come «comunità di sacrificio, d’amore e di fede», ma insiste sul sacrificio, che «mai manca» e comporta «lacrime copiose»(9).
Perché quel grido al Cielo? I contatti che Igino aveva dal 1940 con un nuovo ordine di suore – le Figlie della Chiesa – facevano dire a sua moglie Mya che il marito sottraeva tempo e affetti a lei e ai figli. Verso la fine degli anni ’40 col suo ingresso nel Movimento dei focolari la “lacerazione” s’accresce; ed ha continue occasioni di vivere il taglio con gli affetti familiari chiesto da Gesù – «chi non lascia…» – e di vivere quel duro sermone di Gesù: «Non sono venuto a portare la pace, ma la spada» entro le mura domestiche (cf Mt 10, 34-39)(10).
Adesso, però, che Igino Giordani ha conosciuto la nuova spiritualità, possiede le risorse interiori per essere “solo donazione”; e può scrivere: «Mai come ora sono stato unito a mia moglie, immagine, come mai, della Chiesa; unito con un rapporto divenuto sacro…» (Ddf, 21.8.1964).
È lo stesso brano del Diario, in cui parla dell’unità da lui raggiunta con Maria, con gli angeli, con i santi, con Dio: «ora sono in Dio». È una “unità” tutta nel soprannaturale.
Tuttavia giunge anche qualche momento (1970) che gli fa confessare: «sono crocifisso»(11). Pare proprio che il Padre gli chieda di vivere in misura eroica il suo vangelo familiare, per giungere ad essere – come ha detto Chiara Lubich – «capostipite di schiere di coniugati» votati radicalmente all’unione con Dio, con l’unico “Sposo”.
Viene spontanea una riflessione: la vita di questo Servo di Dio non fa pensare ad un bel quadro dipinto con morbidi pennelli, ma ad un blocco di marmo modellato con duro scalpello. Erano tutti tagli e distacchi in belle realtà umane, ma tagli necessari per giungere alla unione limpida con Dio.

L’incontro con Chiara
Ritorniamo alla seconda metà degli anni ’40, quando era molto assorbito nell’agire politico.
Lo Spirito lo stimolava a crescite ulteriori, come appare evidente dai soliloqui del Diario di fuoco: esami di coscienza più severi, un insistente valorizzare l’essere incompreso e disprezzato, un soffermarsi a lungo sul paolino «è Cristo che vive in me», un volersi perdere in Cristo: cupio dissolvi et esse cum Christo; e aggiungeva un suo personalissimo pregare: «Signore, prenditi me e dammi Te» (Ddf, 21.12.1947).
Il tutto appare come una preparazione immediata a quell’incontro a cui – dirà egli stesso – la “pedagogia divina”(12) lo stava preparando da tutta la vita: «Stamane a Montecitorio sono stato chiamato da angeli» (Ddf, 17.9.1948).
Tra essi c’era Chiara, una “giovinetta” che parlava «ispirata dallo Spirito Santo». Igino ne fu folgorato, sconvolto, trasformato, avviato ad un cammino di santità, che presentava molte novità.
Il «nuovo»
Le novità ce le espone lui stesso in due capitoli di Memorie di un cristiano ingenuo(13).
Noi possiamo così riepilogarle:
– la sua robusta spiritualità tendenzialmente – ma non esclusivamente – individualistica, ora si dilatava in vita di comunione; 
– la sua volontà tenace, vigorosa, generosa, apprendeva a perdersi davvero nel volere di Dio; 
– l’intellettualismo della ragione s’incendiava e si fondeva nella carità; 
– il suo tenace cammino ascetico imboccava le vie della mistica. 
E ancora: i suoi commossi rapporti con Maria(14) si approfondivano nella contemplazione di Maria desolata; e l’amore al Crocifisso(15) si elevava fino a scoprirlo Abbandonato; ma la novità di base era questa: nella sua anima faceva irruzione una nuovissima presenza dello Spirito Santo: «Mi era sembrato un dogma troppo remoto – egli scrive –; ma ora s’era animato e di colpo era divenuto anima della mia anima… in me era entrato il fuoco»(16). Igino parla di una sua “seconda conversione”.
Un segno eloquente del nuovo cammino di santità lo scorgiamo nell’atto in cui compie la sua privata consacrazione secondo la formula suggeritagli da Chiara: «Gesù voglio essere tuo: tuo come intendi Tu; fa’ di me tutto quello che vuoi» (Ddf, 2.9.1949). 
Ci pare che la chiave stia in quel «tuo come intendi Tu»: soppianta la pur bella pretesa del «cristiano con la spina dorsale», che voleva essere lui a scegliere il “come” andare a Dio. Quella formula sarà la sua quotidiana «consacrazione mattinale», scrive in Diario di fuoco (21.2 e 20.7.1963).
Il “farsi nulla” avanza. Lo costatiamo quando lo sentiamo cantare con accenti che ricordano Teresa d’Avila e Giovanni della Croce: 
«Mi son messo a morire 
e quel che accade non m’importa più; 
ora voglio sparire
nel cuore abbandonato di Gesù...
Mi son messo a morire
a questa morte che non muore più…»
(Ddf, 9.7.1951).
Giordani va acquistando una certa familiarità con la Trinità Santissima, come scorgiamo in una paginetta di qualche anno dopo: è una preghiera o meditazione o colloquio altissimo; ma è anche, in qualche misura, realtà mistica – forse la prima – da lui vissuta per le strade della città:
«Questi passi, affaticati, per tornare a casa, sono la marcia di ritorno alla casa tua, o Padre; … tutte queste pene, si fanno gocce di sangue, del tuo Sangue, o Figlio; e questo anelito di ritorno, questa fame di divino, questo bisogno di santificarsi è partecipazione dei tuoi doni, o Spirito Santo. E così mi trovo in tram o per istrada, e sono nel ciclo tuo, o Trinità Santissima: Tu mi porti in Te, io ti porto in me; e, avviandomi alla morte fisica, cresco in Te, salendo per i valichi dell’ascesa mistica» (Ddf, 19.9.1955).

«Maria in me»
Nell’ottobre di due anni dopo gli viene concessa una esperienza di straordinaria bellezza: «Chi mi dirige – egli scrive – mi spinge verso la croce… Il tracciato che mi indica è Maria: sì che la “via crucis” è la “via Mariae”» (Ddf, 6.10.1957).
Con umiltà totale si incammina per questa duplice “via” e viene a scoprire la grandezza sia dell’“abbandono” del Figlio che della “desolazione” della Madre, fusi in un “unico dramma della Redenzione”.
«Meditando su tale mistero – su tale regalità del dolore – la sera del 1° ottobre, mese sacro a Maria, dopo le preghiere, di colpo l’anima mi fu sgombrata di cose e creature umane; e al loro posto entrò Maria, e con Gesù dissanguato, e tutta la stanza dell’anima fu piena della sua figura di dolore e d’amore. E con Lei in me intesi la frivolità dei miei affetti per cose transeunti. Per 24 ore, Ella stette, come altare che regge la vittima: Virgo altare Christi. La mia anima era la sua stanza: il tempio. Ma, dopo 24 ore, la partecipazione alla sua angoscia e l’amore per Lei fecero come un’unità tra Lei e l’anima, e parve che Lei divenisse la mia anima: non più ospite mia Lei, ma io ospite di Lei; sì che mi venne di dire: “vivo non più io, ma vive Maria in me”. La sua presenza aveva come verginizzato la mia anima, marianizzato la mia persona. L’Io pareva morto e nata al suo posto Maria, … la Tutta bella, la Madre del bell’Amore. E anche questo corpo sofferente m’appariva una sorta di cattedrale, dove Maria con Gesù morto evoca lo Sposo, il quale convoca la Trinità» (Ddf, 6.10.1957).
Così Maria scende in lui portandosi l’intera realtà del Cielo. 
Igino ha appreso dal carisma di Chiara che ora sua vocazione è non solo cantare Maria – come ha fatto prima del 1948 – ma anche e soprattutto imitarla, viverla. Perciò trova un’altra definizione del santo: «Il santo altri non è che un innamorato: innamorato della Deità, riflessa in Maria…, un innamorato della Madonna». 
E poiché non è una definizione teorica, egli sceglie di «perdersi in Lei [per] assumerne la vita… l’umiltà, la purezza, il servizio di Dio… Il santo, uomo o donna, è una copia di Maria» (Ddf, 1.5.1960).

L’«oscuramento di Dio»
Giungere a realizzare tale traguardo è più opera divina che umana. Igino Giordani capisce di potervi riuscire solo accettando con gioia la serie di interventi che il «divino potatore» va compiendo a ripetizione da anni su di lui, onde «ridurre la pianta all’essenziale: una croce» (Ddf, 26.2.1957).
Percorre così un cammino di distacco progressivo dai legami umani: incomprensioni familiari, perdita di notorietà, spegnersi di riconoscimenti politici, letterari e – quel che più lo addolora – perfino ecclesiali.
Ricorre di nuovo alla metafora del ciclo dell’albero: «Osservando con pena questa caduta di fronde (illusioni di fama e potere e amicizie), dall’albero della mia vita, in questo autunno volto all’inverno, mi sono ancora meglio accorto che la solitudine sempre più alta e fitta da cui resto circondato è fatta per un più intenso convegno amoroso con Dio: l’anima trova tempo e agio alfine per intrattenersi con lo Sposo. Ora finalmente posso mettere l’anima ad ascoltare lo Spirito Santo, a convivere con gli angeli e i beati, a unirsi con Gesù: a unirsi con Dio. E Dio è la vita. Ora, via via l’unione si fa costante. Imparo e preparo la vita del Paradiso» (Ddf, 23.6.1958).
Preparazione a «un più intenso convegno amoroso con Dio… con lo Sposo». Per andare pronto a tale convegno lo Spirito lo lavora ancora, e nel più profondo dell’anima, fino a fargli assaporare la notte di Dio. All’inizio del 1960 una sera viene a trovarsi «nell’aridità di un deserto senza un filo d’erba: arrabbiato di sete; pativo l’abbandono universale; non sentivo Dio, l’Amore, e non avevo amore di uomini» (Ddf, 28.1.1960).
Ancora qualche giorno: «Ogni tanto un tuffo. Un tuffo in una voragine nera, dove non si vede più niente, non si sente più voce, e si resta disperatamente soli» (Ddf, 11.2.1960).
Tra giugno e agosto una lunga malattia gli porta sofferenze fisiche e isolamento; e “precipita” di nuovo in un “oscuramento”. Interviene la lettura di una pagina di Teresa del Bambin Gesù, la quale gli spiega: 
«Avanza!… avanza!… Egli ti darà una notte più profonda ancora: la notte del nulla»; lei gli fa capire che quella è «una minuscola notte oscura… uno sbalzo avanti, verso l’unione con Dio» (Ddf, 16.6 e 24.8.1960).

«Inabissato nella contemplazione»
Davvero Igino fa balzi in avanti; e il giorno della festa della vergine senese, può scrivere nel suo Diario: «Parmi oggi d’aver finalmente compiuto il trasloco; il trasloco del mio essere: dall’Io a Dio» (30.4.1963).
Un altro giorno medita la via crucis; la vive e la percorre «come Gesù con lo sguardo al Padre, con la forza dell’amore», fino ad «inabissarsi nella contemplazione di Lui». 
Raggiunge altri momenti mistici: «Ecco, l’immensità di Lui, che si fece uomo, che si fece pane, io la sento nell’intimo della mia anima: in un punto così piccolo da parer inesistente: in una capacità minima. Mi volgo all’interno e L’ascolto: Lo vivo: si stabilisce, nel fondo dell’essere, un colloquio con l’Eterno: Dio in me» (Ddf, 7.8.1963).
E l’anno dopo: «Ora sento che si vola, d’attimo in attimo, verso di Lui irraggiungibile e pur vicino. Vicino sì che già comincio a essere in Lui. Prima, l’unione m’era parsa uno stare con Dio: ora, mi appare unità, che è uno stare in Dio sino a farsi Lui. Si capisce: nelle proporzioni con cui un’anima, figlia di Dio, può unirsi al Padre. Eppure, anche la goccia d’un Oceano è oceano» (Ddf, 21.8.1964).
Ancora un momento di luce altissima: «Lunedì scorso, meditando gl’insegnamenti di San Giovanni della Croce, il Signore… mi fece vedere, in una conca di luce, che io avevo raggiunto l’ideale a cui inutilmente, per anni, tra delusioni e propositi, avevo aspirato… ero prostrato nella nullità – nel Nulla –, cioè avevo ritrovato me stesso con di fronte l’Onnipotente. Di colpo mi si parò innanzi la bellezza della conquista, che poi era nulla più che un dono del Signore: e con la bellezza una pace serena, una gioia verginale s’erano depositate nella mia anima» (Ddf, 30.1.1970).
Le esperienze di intimità soprannaturale si ripetono; possiamo ricordare un profondo momento eucaristico: «Stamane, in chiesa, mi si è fatto un vuoto nello spirito; e Dio l’ha colmato di Sé. Mi son trovato tutto preso in Lui e identificato, quasi… Avevo trovato il tanto ricercato Io per la prima volta: nella inesistenza di me, nell’immersione della mia anima in quella effusione dolce, indefinibile, serena, semplice che era l’emanazione dell’Eucaristia: l’anima divina umana di Cristo» (Ddf, 19.1.1972).
E, due anni prima della partenza per il Cielo, un’altra esperienza d’anima: «Stamane m’è parso d’essermi avvicinato a Dio. Mai, credo, l’avevo sentito più vicino. La mia gioia è stata, ed è, grandissima. Sento d’aver trovato l’accesso libero per andare a Lui. Ora sono in terra e abito in cielo… Sono di Dio. Non mi serve altro» (Ddf, 27.5.1978).

Il fratello «ianua coeli»
La ricerca sempre più radicale del suo stare in Dio egli la manifesta con questa espressione: Solus cum sola. In questo rapporto di Dio solo con la sua anima sola, quale posto Giordani assegna al fratello?
Nella prima pagina del suo Diario di fuoco (1.5.1941) egli dice a se stesso: i fratelli sono «l’immagine di Dio… e tu vedi sensibilmente il Signore in loro».
E non era una riflessione teorica: nella sua partecipazione alla guerra vissuta da pacifista (1915-1916), scorgendo a tiro del suo fucile un soldato austriaco ferito e spaventato, non lo aveva odiato, non gli aveva sparato, perché – scriverà nel 1925 – «mi sono ricordato del logion di Gesù: “vedesti il fratello, vedesti il Signore”»(17).
Nelle stesse pagine iniziali del Diario s’impegna ad “inserirsi” di più nel Corpo mistico, ricordando a se stesso che “tutti” gli uomini sono «riscattati da un unico sangue». Si ammonisce: separarsi dai fratelli è «separarsi da Cristo» (Ddf, 1.5.1941). 
E si esorta: «Mettiti a vivere nella Chiesa… e [anche] gli estranei divengono membra del tuo stesso corpo, spirito del tuo spirito… per essi Cristo si comunica a noi e noi ci comunichiamo a Lui» (Ddf, 15.5.1941).
Appare già ben definita nel suo meditare profondo una realtà, che poi, alla luce del carisma di Chiara, diverrà la base fondamentale del suo vivere, e che chiamerà: «il circuito Dio – il fratello – io».
La nuova vita che comincerà a vivere dopo il settembre 1948, gli permette di raccontare esperienze d’anima di questo genere: il nostro «è un Movimento che ci induce a fare la scalata a Dio in unione, in cordata… Il fratello vale come ianua coeli… Chi ci fa compagnia è il Padre… la comunione c’è se dal fratello si passa al Padre e dal Padre si torna al fratello» (Ddf, 16.10.1959).
E il fratello comincia ad entrare in un parallelo eucaristico: «Dio scende a me per il tramite del pane; io salgo a Lui per il tramite del fratello» (Ddf, 14.4.1960).
Per risalire a Dio dopo momenti di buio Igino scopre una via, di assoluta efficacia, in certi fratelli speciali: i Superiori (scrive con la S maiuscola).
«Di colpo – egli racconta – mi ha rimesso su un podio di luce il contatto coi Superiori. Davvero essi per un’anima consacrata sono il tramite al Paradiso: la congiunzione con Dio… Non ti salvi che annientandoti davanti a Dio, obbedendo ai Superiori, sostituendo alla tua la sua, e la loro volontà… Mi sento ora davvero consacrato: cioè appartenente a Lui». (Ddf, 20.7.1963).
Immerso col suo ardore totalitario nella spiritualità comunitaria dell’unità, il dialogo con Dio gli si è realizzato sempre più nella comunione con i fratelli. Penetra in modo nuovo il senso dell’antico «vedesti il fratello, vedesti il Signore», fino a sentire di trattare veramente con Dio amando il fratello. Ha già sperimentato che più ama questo «più s’inabissa nella contemplazione di Lui» (Ddf, 7.8.1963).
E in un colloquio intimo con Gesù lo ringrazia commosso, perché, gli dice: «Il tuo amore m’ha scoperto i fratelli; me ne ha fatto il viatico per salire sempre di terra in cielo» (Ddf, 8.12.1973).
Dopo che è andato a vivere in focolare (nel 1974; stava per completare l’80° anno di età), egli constata che i fratelli non solo lo fanno salire in Cielo, ma gli danno quaggiù la gioia del Cielo: Giordani vive ora «in continuo contatto con Dio», e canta: «la letizia della giornata viene non da me, ma dai fratelli che incontro…: essi mi danno Dio” (Ddf, 26.1.1976).
La gioia più grande gli viene dallo scoprire in modo nuovo un particolare – sempre da lui ammirato con commossa venerazione – dentro «il giardino della Chiesa: esso è fatto di quei fiori che sono le vergini e i vergini consacrati a Dio. Nei vari aspetti e vesti in cui si presentano compongono una delle visioni di bellezza che dà la presenza di Dio nelle anime» (Ddf, 14.1.1977).
Contempla ancora tale “visione” in un incontro dei focolarini; ed esulta: «La verginità in loro si rivela come stanza di Dio. Ognuno di loro passa come un ostensorio, che dona Gesù Eucaristia» (Ddf, 24.12.1976). 
Ottiene una “sublimazione di gaudio” nel costatare che il fratello oltre che essere via a Dio è anche sempre più via di Dio a lui; è “sacramento di Dio”, così come lo è l’Eucaristia (28.4.1977 e 19.1.1978).
Negli ultimi tempi della sua vita terrena intensifica il vivere e comunicare quel ch’egli chiama “mistero d’amore”: è il «mistero in cui agisce la triade: Dio – Fratello – Io» (Ddf, 25.4.1979).

«Essere Te»
Ad un certo punto del suo santo viaggio, nella ricorrenza della festa dell’Immacolata dal profondo del cuore gli sale una preghiera densa di gratitudine, che è quasi un bilancio dei suoi rapporti con il Signore: «Gesù, figlio di Maria Immacolata, tu sai che non finisco di ringraziarti dei doni che m’hai fatti… E in realtà questa vita, pur coi miei peccati e difetti, non è stata, in quanto bellezza, forza, sapienza, unione con Dio, non è stata che Te… E di questo soprattutto ti ringrazio: d’avermi, in questa vita, fatto essere Te… E Tu sei per me eternità conquistata» (Ddf, 8.12.1973).
E il suo essere Gesù, e Gesù in croce, sul letto della sua malattia terminale raggiunge un punto di luce altissima, con l’impegno di “dare gioia” al Cielo: «Mai siamo stati tanto Gesù quanto ora che, concrocefissi con Lui, Gli diamo la gioia di una partecipazione viva… Siamo unificati con Lui nell’atto di salvare l’umanità. Rimettiamo nelle Sue mani il nostro spirito!» (Ddf, 25.1.1980).
È come un timbro – un sigillo d’oro – posto a conclusione di una vita spesa tutta all’interno e sulle frontiere della Chiesa: come generoso partecipe alla redenzione e, dopo l’incontro con Chiara, come costruttore – con lei e nel carisma di lei – di una umanità rinnovata dall’Ideale dell’unità.

Tommaso Sorgi


01) Memorie di un cristiano ingenuo, Città Nuova, Roma 1981, p. 51.
02) Ne scriverà la vita: Contardo Ferrini. Un santo fra noi, Milano 1949, p. VI.
03) Vedi Quaderno dei libri letti, dove il giovane Igino registrava le sue letture dal 1912 al 1930.
04) Rivolta cattolica, Torino 1925, Città Nuova 19975, p. 186 (rip. in Diario di fuoco, nuova ed. ampliata, Città Nuova, Roma 1990, p. 18): troviamo la data della lettura nel Quaderno, cit. nella nota precedente. 
05) Memorie, cit., p. 150; v. anche pp. 131, 144, 147. 
06) Segno di contraddizione, Morcelliana, Brescia 1933, p. 202.
07) Tale titolo è da lui scritto a mano su una copia del dattiloscritto preparato per la tipografia.
08) Memorie, cit., pp. 113-114.
09) La società cristiana, Ed. Salesiana, Pisa 1942, pp. 30 e 37-38.
10) Per il “chi non lascia…” si veda in part. Lc 14, 26-27 e 18, 29-30, che tra gli affetti presi in considerazione include anche quelli tra marito e moglie. L’esigente “sermone” di Matteo e di Luca non è da fraintendere, ricordando che è fatto da Colui che afferma l’assoluta indissolubilità dell’unione coniugale.
11) È una paginetta manoscritta preparata per il Diario, ma rimasta inedita.
12) Memorie, cit., p. 162.
13) Ibid., pp. 147-169.
14) Le aveva riservato anche un intero libro: Maria di Nazareth, Salani, Firenze 1943.
15) Rivolta cattolica, cit., pp. 23-25 e 205-207; Segno di contraddizione, cit., pp. 38-63; Gesù di Nazareth, SEI, Torino 1946, pp. 741-788.
16) Memorie di un cristiano ingenuo, cit., pp. 150-152.
17) Rivolta cattolica, cit., p. 22.

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