sabato 26 gennaio 2008

Preghiera


O Padre, principio di ogni bene,
che per i meriti del tuo Figlio Gesù
susciti meraviglie di bontà
in coloro che si affidano al tuo amore,
ti rendiamo grazie
per la testimonianza cristiana di Chiara Badano.
Animata dall’ardore del tuo Spirito,
ha trovato nell’unione con Gesù la luce
per riconoscere nell’amore l’ideale di vita,
e la forza di compiere,
in filiale abbandono alla tua volontà,
l’offerta della sua giovinezza
per il bene della Chiesa.
Se è conforme al tuo disegno che
che l’esempio della Serva di Dio
venga proposto alla venerazione dei fedeli,
concedici, ti preghiamo, la grazia…
per l’esaltazione della tua benevolenza
di Padre.
Te lo chiediamo per Cristo, nostro Signore.
Amen

+ Livio Maritano

Chiara Luce - Una grande avventura: stare al gioco di Dio (prima parte)

La nascita tanto attesa
Chiara Luce nasce il 29 ottobre 1971 a Sassello, un paesello grazioso, nell’entroterra ligure, che non è ancora montagna, ma già troppo lontano dalla città. Se cercate un luogo "di provincia", prendete Sassello, con i funghi, gli amaretti e i castagni.
Chiara è figlia unica di Ruggero Badano, camionista e di Maria Teresa Caviglia, operaia. I suoi genitori erano sposati da undici anni, senza riuscire ad avere figli. È facile immaginare la dirompente felicità provocata da quella nascita. Il suo arrivo viene ritenuto una grazia della Madonna delle Rocche, alla quale il papà è ricorso in preghiera umile e fiduciosa. "Pur nella gioia immensa, comprendemmo subito - racconta la madre - che non era solo figlia nostra, ma che era prima di tutto figlia di Dio". Lui: poche parole, ma una fede solida, severo ma con un che di dolce nello sguardo. Lei: affabile ed estroversa, con la figlia ebbe un rapporto di verità e confidenza.

Qualcosa di molto importante
Un episodio lo racconta ancora Maria Teresa: "Un pomeriggio la bambina giunge a casa con una bella mela rossa. Le chiedo da dove provenga. Chiara mi risponde che l’ha presa dalla vicina, Gianna del mulino … senza chiederle il permesso. Le spiego allora che deve domandarle le cose prima di prenderle, e che perciò deve immediatamente riportarla indietro, chiedendo scusa. Ma lei non vuole, si vergogna e si impunta. Le spiego allora che è molto più importante dire la verità che mangiare una buona mela. Chiara torna dalla fruttivendola e le spiega tutto. La sera, quella donna porta una cesta di mele per Chiara, "perché oggi ha imparato qualcosa di molto importante".

Quell'incontro a 9 anni
Chiara manifesta un carattere generoso. In un compito di prima elementare, scrivendo a Gesù Bambino, non chiede giocattoli, ma:"Fa guarire nonna Gilda e tutte le persone che non stanno bene". È conciliante, anche se sa bene il fatto suo, e talvolta si scontra coi genitori. Ma la frattura dura lo spazio di qualche istante. Cose piccole, ma significative: la mamma le propone di sparecchiare. "No, non mi va". Arriva alla cameretta, poi torna in dietro e fa: "Com’è quella storia del Vangelo, dei due operai che devono andare nella vigna, e uno dice di sì e non ci va, e l’altro dice di no ... Mamma, mettimi il grembiulino". E sparecchia.
Storielle come queste attestano come riceva una solida educazione cristiana, grazie anche alla comunità parrocchiale, al parroco che impartisce affascinanti lezioni di catechismo, alle solide amicizie che Chiara costruisce. Ha un debole per le persone anziane, che cerca di aiutare.
Ha nove anni quando avviene l’incontro fondamentale della sua vita, quello con l’ideale dell’unità, in un incontro delle giovanissime dei Movimento dei Focolari, le Gen 3, nel settembre 1980. Da allora, in modo particolare, la sua vita è tutta in ascesa, una ricerca di "mettere Dio al primo posto", confermato dall’adesione allo stesso spirito dei genitori, ad un grande meeting di famiglie, il Familyfest 1981. Dice sua madre: "Tornati a casa dicevamo che, se ci avessero chiesto quando ci eravamo sposati, avremmo risposto: Quando abbiamo incontrato quest’ideale". Da quel momento la famiglia Badano sarà un esempio di rispetto, calore e unità.
In questo periodo, la sera prima di dormire, scrive alcuni semplicissimi fioretti. Eccone uno: "Una compagna ha la scarlattina, e tutti hanno paura di visitarla. D’accordo con i miei genitori penso di portarle i compiti, perché non si senta sola".

Sport, affetti e ... un viaggio decisivo
Sant’Agostino ripete spesso che "l’amore rende belli". Chiara è in effetti rivestita della bellezza evangelica, anche se già di per sé appare molto carina, una bella ragazza. Le foto ce la presentano sin dall’infanzia come volitiva, con un carattere ben stagliato. Ma in quel volto delicato, ciò che attira è il suo sguardo, non remissivo né aggressivo. Limpido e basta. Anche nelle foto dell’adolescenza, quando qualche brufolo di troppo le sporca un po’ il bell’ovale.
L’adolescenza ce la presenta nella normalità più assoluta. È in questo periodo più movimentato che avviene il trasferimento a Savona, nel 1985, per gli studi al liceo classico che, a dire il vero, conosceranno qualche difficoltà, nonostante l’impegno. Viene bocciata in quarta ginnasio, e questo la fa soffrire parecchio.
Coi genitori qualche incomprensione emerge, anche se l’affetto è più forte, e non di rado si giunge a compromessi accettabili dalle due parti, come ad esempio sugli orari di uscita serali. In effetti, soprattutto nei week-end a Sassello, a Chiara piace rimanere la sera con gli amici al bar.
"Aveva un grosso supporto umano, - dice Chicca Coriasco, sua confidente -; ma amava anche vestirsi con proprietà, pettinarsi con cura e qualche volta truccarsi un poco, però mai con lusso".
Piace, e sa farsi apprezzare: è sempre circondata di amici e amiche. È una grande sportiva: tennis, nuoto, montagna. Non sa stare ferma, vorrebbe fare la hostess. Le piace un mondo ballare e cantare. Tanti le vanno dietro, mentre lei ama sognare. Ogni tanto dice all’amica, guardando un ragazzo: "Quello mi piace". Ma niente di più.
Nell’estate 1988, un passaggio clou. Appena saputo di essere stata rimandata in matematica, accompagna a Roma delle bambine, delle Gen 4, per un congresso. Ha il cuore grosso per essere stata rimandata, ma non si tira indietro. Scrive ai genitori: "È giunto un momento molto importante: quello dell’incontro con Gesù abbandonato. Abbracciarlo non è stato facile; ma Chiara questa mattina ha spiegato alle Gen 4 che egli deve essere il loro sposo".
Chiara Lubich, con cui intratterrà una fitta corrispondenza, ma soprattutto un rapporto vitale, intensissimo, fino all’ultimo, quando dirà: "Debbo tutto a Dio e a Chiara". A lei più tardi chiese un "nome nuovo". "Chiara Luce", fu la risposta.



da un articolo di Michele Zanzucchi - Città Nuova

Chiara Luce - Una grande avventura: stare al gioco di Dio (seconda parte)

Il verdetto improvviso
Prosegue gli studi al Liceo classico, poi a 17 anni, l’imprevedibile. Giocando a tennis, avverte un lancinante spasimo alla spalla sinistra. Dapprima non ci fa caso, come i medici. Ma le ricadute spingono ad approfondire le ricerche. Dopo dolorosi esami ed inutili interventi il verdetto: sarcoma osteogenico con metastasi, una delle forme tumorali più gravi e dolorose. Chiara Luce subito rimane assorta in silenzio, ma dopo dalle sue labbra esce il sì alla volontà di Dio, nell’amore al suo "Gesù abbandonato". Senza pianti né ribellioni, accoglie la notizia con coraggio: "Ce la farò, sono giovane", dice. Non perderà mai il suo luminoso sorriso e, mano nella mano con i genitori affronta cure dolorosissime e trascina nello stesso Amore chi l’avvicina. Papà Ruggero dice: "Avevamo la certezza che Gesù era in mezzo a noi. Lui ci dava la forza". Inizia un calvario che durerà circa tre anni e un profondo cambiamento, una rapida scalata alla santità.
Iniziano i ricoveri, e lei si distingue per l’altruismo. Si prende cura di una ragazza tossicodipendente, gravemente depressa, trascurando il riposo e accompagnandola dovunque, alzandosi dal letto nonostante il dolore che le provoca il grosso callo osseo che ha sulla schiena: "Avrò tempo dopo per dormire", dice.
Il filosofo Cioran si chiedeva: "Si è mai visto un santo gioioso?". Chiara Luce lo è, perché Gesù diventa sempre più suo "sposo". Scrive: "Questo male Gesù me lo ha mandato al momento giusto". È in ospedale a Torino. "All’inizio abbiamo l’impressione di andarla a trovare per sostenerla - dice un Gen -. Ma ben presto capiamo che non possiamo più fare a meno di lei, come attratti da una calamita".
Il decorso della malattia è impietoso, ma Chiara Luce cerca di condurre una vita normale e gioiosa. Uno dei medici, Antonio Delogu dice: "Dimostra col suo sorriso, con i suoi grandi occhi luminosi, che la morte non è, solo la vita è". Subirà due operazioni dolorosissime. La chemioterapia le fa cadere i capelli, a cui tiene moltissimo. A ogni ciocca di capelli che perde, ripete un semplice ma intenso: "Per te, Gesù". I genitori, sempre presenti, le ricordano che sotto quelle sofferenze si coglie un misterioso disegno di Dio. E Chiara Luce si rimette nell’amore. Così, ad un amico che parte per una missione umanitaria in Africa, consegna i suoi risparmi: "A me non servono, io ho tutto".

Niente morfina: "Voglio dividere ancora per un po' con Lui la croce"
Esiste una registrazione di questo periodo in cui Chiara Luce racconta di una dolorosa visita medica: "Quando i sanitari hanno iniziato a fare questo piccolissimo intervento, però fastidioso, è arrivata una persona, una signora, con un sorriso luminosissimo, bellissima: mi s’è avvicinata, mi ha preso la mano e mi ha infuso coraggio. Com’è arrivata, è sparita: non l’ho più vista. Ma sono stata invasa da una gioia grandissima, e m’è scomparsa la paura. Ecco, in quell’occasione ho capito che, se fossimo sempre pronti a tutto, quanti segni Dio ci manderebbe".
Il male avanza e i dolori aumentano. Non un lamento; sulle sue labbra: "Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io". Perde l’uso delle gambe. Dice: "Se dovessi scegliere tra camminare o andare in paradiso, sceglierei quest’ultima possibilità". L’ultima tac non lascia speranza. E giunge il momento della prova, intensa. Ma non si arrende, anche con l’aiuto di Chiara Lubich che le scrive: "Dio ti ama immensamente e vuole penetrare nell’intimo della tua anima e farti sperimentare gocce di cielo".
Rifiuta la morfina: "Toglie la lucidità, e io posso solo offrire il dolore a Gesù, perché voglio dividere ancora per un po’ con lui la croce". Dona tutto per la Chiesa, la diocesi, i giovani, i lontani, il Movimento, le missioni, ... rimanendo serena e forte, convinta che "il dolore abbracciato rende liberi". Ripete: "Non ho più niente, ma ho ancora il cuore e con quello posso sempre amare".
Chiara Luce appare ormai adulta. Le scrive un medico, Fabio De Marzi: "Non sono abituato a vedere dei giovani come te. Ho sempre pensato alla tua età come al tempo delle grandi emozioni, delle intense gioie, degli ampi entusiasmi. Mi hai insegnato che è anche l’età d’una maturità assoluta".
La sua cameretta, nell’ospedale Regina Margherita a Torino e a casa, è luogo di incontro, di apostolato, di unità: è la sua chiesa. Anche i medici, talvolta non praticanti, rimangono sconvolti dalla pace che aleggia intorno a lei, ed alcuni si riavvicinano a Dio. Ancor oggi la ricordano, ne parlano e la invocano.
Diceva agli amici: "Voi non potete immaginare qual è ora il mio rapporto con Gesù. Avverto che Dio mi chiede qualcosa di più, di più grande. Forse potrei restare su questo letto per anni, non lo so. A me interessa solo la volontà dì Dio, fare bene quella nell’attimo presente: stare al gioco di Dio". E ancora: "Ero troppo assorbita da tante ambizioni, progetti e chissà cosa. Ora mi sembrano cose insignificanti, futili e passeggere. Ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela. Se ora mi chiedessero se voglio camminare (l’intervento la rese paralizzata con dolorosissime e continue contrazioni alle gambe), direi di no, perché così sono più vicina a Gesù".
Alla mamma preoccupata continua a ripetere: "Fidati di Dio, poi hai fatto tutto"; e "Quando io non ci sarò più, segui Dio e troverai la forza di andare avanti".
A chi la va a trovare esprime i suoi ideali, mettendo gli altri sempre al primo posto. Al "suo" vescovo, mons. Livio Maritano, mostra un affetto particolarissimo; nei loro ultimi, brevi ma intensi incontri, un’atmosfera soprannaturale li avvolge: nell’Amore diventano una cosa sola; sono Chiesa!

Quella luce negli occhi da dove viene?
19 luglio 1989: un’emorragia terribile. Viene salvata in extremis. Dirà: "Non versate lacrime per me. Io vado da Gesù. Al mio funerale non voglio gente che pianga, ma che canti forte".
Altre cure, in fleboclisi: "Cos’è questa goccia che cade nei confronti dei chiodi nelle mani di Gesù?". E accompagna ogni goccia con un: "Per te". Riceve la visita del cardinale Saldarini, che le chiede: "Hai degli occhi stupendi, una luce meravigliosa. Da dove ti viene?". E lei: "Cerco di amare tanto Gesù".
Talvolta, cosa insolita, chiede ai genitori di non far entrare nella sua stanzetta gli amici. Un giorno si spiega: "Non era segno di minor affetto o di tristezza. Anzi. Era che faticavo a scendere dal punto in cui abitavo e poi risalirvi". E "aria di paradiso" sperimentano coloro che le sono accanto. Scrive agli amici: "Un altro mondo m’attendeva e non mi restava che abbandonarmi. Ma ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela".

La festa di nozze
Lei, soprannominata Luce da Chiara Lubich, con la quale ha un intenso e filiale rapporto epistolare fin da piccina, ora è veramente luce per tutti e presto sarà nella Luce. Non ha paura di morire e non l’ha mai avuta. Aveva detto alla mamma uno degli ultimi giorni: "Non chiedo più a Gesù di venire a prendermi per portarmi in Paradiso, perché voglio ancora offrirgli il mio dolore, per dividere con lui ancora per un po’ la croce".
Ormai sicura della sua sorte, che d’altronde non vuole cambiare (non desidera chiedere la sua guarigione, quanto di essere capace di fare la volontà di Dio). Chiara si prepara all’incontro: "È lo Sposo che viene a trovarmi" e prepara con la madre la "festa di nozze", cioè il funerale. Lei stessa spiega come confezionare l’abito, sceglie musiche, fiori, canti e letture: "Mentre mi preparerai, mamma, dovrai ripetere: ‘Ora Chiara Luce vede Gesù’".
"Le espressioni di questo periodo - sostiene Maria Grazia Magrini, colei che sta raccogliendo il materiale su Chiara Luce per il "processo di beatificazione" - assomigliano tanto a quello di santa Teresina del Bambino Gesù". Come una delle ultime: "Bisogna saper morire a colpi di spillo per saper poi morire di spada".
Ricevendo per l’ultima volta Gesù Eucaristia appare immersa in Lui e supplica che le venga recitata "quella preghiera: Vieni, Spirito Santo, manda a noi dal Cielo un raggio della tua luce".
Finché arriva l’incontro col suo "sposo". Accanto a lei il padre e la madre. Fuori dalla porta, gli amici. C’è pace, quasi naturalezza. E il suo Sposo viene a prenderla all’alba di domenica 7 ottobre 1990, quattro del mattino, dopo una notte molto provata. È il giorno della Vergine del Rosario. Queste le ultime parole: "Mamma, sii felice, perché io lo sono. Ciao". Ultimo dono, le cornee; ultimo messaggio alla gioventù: "I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, però vorrei passare loro la fiaccola come alle Olimpiadi. I giovani hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene".
Al funerale assistono duemila persone. Anche chi non crede vuole esserci. I commenti parlano di paradiso, di gioia, di scelta di Dio indotta da quella di Chiara Luce. Dice il vescovo Maritano nella sua omelia: "Ecco il frutto della famiglia cristiana, d’una comunità di cristiani, il risultato di un movimento che vive l’amore scambievole e ha Gesù in mezzo".

Alcuni pensieri di Chiara Luce
"È stata una notte terribile, ma non ho sprecato un solo momento, perché ho offerto tutto a Gesù".

"A me interessa solo la volontà di Dio. Fare bene quella, nell’attimo presente: stare al gioco di Dio".

"Chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza

"Ho riscoperto il Vangelo sotto una nuova luce. Ho scoperto che non ero una cristiana autentica perché non lo vivevo sino in fondo. Ora voglio fare di questo magnifico libro il mio unico scopo. Non voglio e non posso rimanere analfabeta di un così straordinario messaggio. Come per me è facile imparare l’alfabeto, così deve essere anche vivere il Vangelo".

Hanno detto di Chiara Luce
Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari: "Chiara Luce! Quanta luce si legge sul suo volto, quanta luce nelle sue parole, nelle sue lettere, nella sua vita tutta protesa ad amare concretamente tanti! ... Scelta radicale di Gesù crocefisso e abbandonato, la sua; scelta di ciò che fa male e che, se non si ama, può trascinare lo spirito in una galleria oscura. Con Lui ha vissuto, con Lui ha trasformato la sua passione in un canto nuziale".

Mons. Livio Maritano, vescovo di Acqui Terme, promotore della causa di beatificazione: "La sua è una testimonianza significativa in particolare per i giovani. Basta considerare come ha vissuto la malattia, vedere l’eco suscitata dalla sua morte. Non si poteva lasciar cadere un esempio di questa portata. C’è bisogno di santità anche oggi. C’è bisogno di aiutare a trovare un orientamento, uno scopo alla vita, aiutare i giovani a superare le loro insicurezze, la loro solitudine, i loro enigmi di fronte agli insuccessi, al dolore, alla morte. I discorsi teorici non li conquistano, ci vuole la testimonianza. Nei colloqui con lei notavo una maturità di gran lunga superiore alle giovani della sua età. Aveva colto l’essenziale del cristianesimo: Dio al primo posto; Gesù, con cui aveva un rapporto spontaneo, fraterno; Maria come esempio; la centralità dell’amore; la responsabilità di annunciare il Vangelo. Tutto questo, collaudato dall’esperienza della sofferenza e della morte, non temuta ma attesa, ha reso la sua vicenda veramente singolare".

da un articolo di Michele Zanzucchi - Città Nuova

martedì 22 gennaio 2008

Preghiera



Eterno Padre,
hai acceso del Tuo Amore
il cuore di Igino
e ne hai dilatato l'anima
sulla chiesa e sull'umanità intera;

Lo hai reso testimone credibile
del Vangelo,
uomo della pace e
della fraternità universale;

gli hai donato un amore
filiale di Maria, da lui scelta
a modello di umiltà e via di santità;

ora concedici, se è Tua volontà,
la grazia che ti chiediamo
per sua intercessione...


+ Giuseppe Matarrese vesc. tusc.
10 giugno 2005

lunedì 21 gennaio 2008

Andiamo a far visita a Gesù...

Riceviamo e pubblichiamo

All’ultimo incontro abbiamo letto il messaggio di Chiara sul giornale GEN 3..."Gesù vuole tornare attraverso di noi"...”Gesù è venuto ‘a morire per la propria gente’”. Siamo rimaste colpitissime da queste parole: la vita al servizio del prossimo: ma - ci siamo chieste - chi è il nostro prossimo? Già la settimana scorsa c'eravamo lasciate con l'idea di andare a trovare una vecchietta che abita di fronte alla casa di una di noi, che ha 91 anni ma è ancora ‘giovanissima’ dentro. Così abbiamo pensato di inserire nel programma di oggi questa "visita a Gesù in quella vecchietta". Le abbiamo preparato un cestino con delle caramelle, biscottini e torroncini. Una gen3 le ha messo anche un fiorellino per abbellirlo. Così, dopo aver finito di leggere il messaggio di Chiara, siamo andate a trovarla. Appena ci ha visto alla porta era già contentissima; siamo entrate in casa e lei ci ha detto "Ma non ho niente da offrirvi"; noi, allora, le abbiamo risposto: “Offrici la tua compagnia..." Poi le abbiamo raccontato alcune esperienze fatte a scuola, abbiamo cantato per lei e recitato alcune poesie... Anche lei ha voluto ricambiare il nostro amore raccontandoci la sua giovinezza; è stato bellissimo e non avremmo più voluto andare via. Alla fine le abbiamo dato un bigliettino con su scritto: "Solo per un dono immenso di Dio Padre venne tra noi Colui che è la luce vera, viene per colmare il cuore dell'uomo, viene e rimane con noi per illuminare la nostra vita col Suo amore...”. Siamo ripartite col cuore felice, felice!!

Un pò di storia


Il Movimento Ragazzi per l’unità è nato nella Pasqua del 1984 allo scopo di coinvolgere il maggior numero di ragazzi possibile ad un progetto: costruire il mondo unito. 
Per arrivare a questa meta realizzano le più varie iniziative percorrendo quelli che hanno chiamato “sentieri per l’unità”. 

Organizzano incontri, giornate e assemblee nelle scuole per far conoscere a tanti ragazzi il loro stile di vita; si servono di complessi musicali, canzoni e rappresentazioni artistiche per comunicare messaggi di pace e di unità; intraprendono gare sportive, giochi e attività ricreative che, oltre a mantenere l’integrità fisica, servano a costruire rapporti nuovi; danno vita ad azioni ecologiche; animano marce per la pace, sono protagonisti di azioni locali e mondiali per realizzarla.

Vivono e diffondono una nuova cultura quella del dare e del condividere. Danno vita ad una comunione dei beni mondiale nella quale, come in una grande famiglia planetaria, chi ha di più lo mette in comune con chi non ha. 

In 27 Paesi del mondo sostengono 30 “Progetti dare”, microrealizzazioni in favore dei loro coetanei più poveri o che vivono in Paesi in guerra.

Dal 2002 hanno lanciato il progetto “Schoolmates”. Grazie ad un sito internet classi di Paesi diversi corrispondono e condividono culture, tradizioni e iniziative già in atto per costruire il mondo unito. Attraverso un fondo di solidarietà le classi che lo desiderano sostengono borse di studio in favore dei ragazzi dei Paesi più svantaggiati.

L'unione con Dio

Storia di un laico che tende alla santità eroica attraverso il carisma dell’unità

L’unione con Dio
nell’esperienza di Igino Giordani

di Tommaso Sorgi

È una storia avvincente quella di Giordani per la sua personalità poliedrica ed evangelica allo stesso tempo. Scrittore affermato e politico, padre di famiglia e grande conoscitore dei Padri della Chiesa, egli incontrò nel carisma di Chiara Lubich una forma moderna per ridare ai laici il loro posto di protagonisti in seno al popolo di Dio. Con il suo apporto intellettuale e con la sua esperienza di vita ha contribuito perché la santità ritornasse ad essere patrimonio normale di tutte le vocazioni. Per questo la Chiesa ha avviato il suo processo di beatificazione.

Aveva 54 anni di età quando Igino Giordani conobbe Chiara; ed è lecito domandarsi: come aveva vissuto fin’allora il suo essere cristiano? Studiando la storia della sua anima e l’azione che in lui il Padre celeste aveva svolto, troviamo alcuni punti forti, scaturiti da precise letture.

a) La scoperta: chiamato alle armi nella prima guerra mondiale, non sparò mai «per timore di uccidere un figlio di Dio»(1): fu colpito lui (luglio 1916) subendo ferite gravissime. In ospedale, lo attendeva un appuntamento con Dio: gli Scritti religiosi di un laico, poi santificato, lo aiutavano a scoprire che anche in mezzo al mondo si può raggiungere la santità(2). Il giovane Igino (aveva 22 anni) iniziò una ricerca, in cui sarà perseverante per tutta la vita.

b) L’incendio: qualche anno dopo (ottobre 1922) meditò le Lettere di santa Caterina da Siena(3); per amore di lei si fece terziario domenicano; e più tardi dirà: fu «Colei che [per] prima m’incendiò dell’amor di Dio» (Diario di fuoco, 30.4.1963).

c) Il morire in Dio: durante la sua prima esperienza politica (1920-26), conduceva una vita intensa di preghiera e di esercizio ascetico onde migliorarsi in tutte le virtù; il meditare Estasi e lettere di santa Maria Maddalena de’ Pazzi, gli faceva fiorire il desiderio di «avviarsi a quello stato di amore “morto”» da lei indicato per annullarsi nel volere di Dio(4).

d) Monaco nel mondo: studiando san Giovanni Crisostomo per scriverne la biografia (1926-1929), rimaneva colpito dallo «struggente desiderio» di lui «che i coniugati vivessero nel mondo come i monaci, con in meno il celibato»(5); e se ne faceva un segreto ideale personale.

Innamorato di Dio
Considerava la cultura, l’impegno politico, la famiglia quali realtà fiorenti in seno alla Chiesa, quelle e questa da lui vissute come sacerdozio regale per testimoniare la sua fede d’amore a Dio («la fede è un fuoco», dichiarava(6) e il suo servizio d’amore all’uomo.
Nel 1941 iniziava un diario dell’anima, ch’egli penserà d’intitolare Dall’Io a Dio(7), ma pubblicato poi come Diario di fuoco. (In seguito verrà citato con la sigla Ddf).
Vi troviamo questi slanci: desiderio di avere «l’anima invasa dall’amor di Dio»; l’ansia di «umiltà e carità, servire tutti, sentirsi inferiore a tutti»; la volontà di «concrocifiggersi con Gesù» (1 e 2.5.1941). Avvertiva nel suo intimo una più viva tensione alla santità: «Infine, quel che conta è una cosa sola: farsi santi»; e cercava di raggiungere tale meta, ricordando a se stesso che «il santo è un cristiano con la spina dorsale» (Ddf, 13 e 27.5.1943).

Le difficoltà, i distacchi
Quasi a saggiare la robustezza della sua “spina dorsale”, il Signore lo metteva alla prova nei singoli campi del suo vivere: la cultura, la Chiesa, la politica, la famiglia.
Impegnato nella cultura della Chiesa ad alto livello, fu nominato direttore de Il Quotidiano; ricorsero dal Papa (Pio XII) contro di lui. Confessava a se stesso: «La esperienza di più amara sorpresa per te, ora, è questa: che nel fare il bene tu sia incompreso dai buoni, che nel difendere la religione tu sia offeso da creature religiose»; ma vi scorgeva una tattica divina: ciò avviene, si diceva, «perché il tuo bene sia tutto tra te e Dio, e non s’interponga lode d’uomo o, peggio, premio in terra» (Ddf, 29.10.1944).
Chiamato a candidarsi alle elezioni politiche, esitava ad accettare e si poneva questo interrogativo: «Può un uomo politico esser santo? Può un santo esser politico?» (Ddf, 6.4.1946). Fu eletto deputato. Dopo pochi mesi nel Diario di fuoco troviamo un’accorata preghiera: «Questo dolore e questa umiliazione servano a demolire la sovrastruttura della vanità e a rimettermi, anima nuda, di fronte a Te, Signore» (Ddf, 29.4.1947).
Cos’era successo? Il giorno prima era stato costretto a dimettersi dalla direzione de Il Popolo, giornale della Democrazia cristiana, per divergenze col segretario nazionale del partito(8). Nella sua attività di deputato stava trovando difficoltà forse più di quante se ne attendesse, ma comprendeva che erano «l’occasione offerta da Dio per farsi santi… nel fuoco della carità, con la sapienza dell’umiltà» (Ddf, 11.9.1947).
Un posto speciale ebbe, naturalmente, la famiglia. Sposatosi nel 1920, dopo tanti anni di idillio coniugale, Igino nel 1940 cominciava ad avere difficoltà. Nel Diario (2.5.1941) appena appena iniziato, egli grida al Cielo: «Signore, nella mia giornata questa è l’ora di lacerazione della mia carne “ecclesiale”… là dove questa carne nasce, nella famiglia… È la grande prova, in cui tutto quello per cui combattei pare sfasciarsi. Ma io mi sono abbandonato a Te; e checché avvenga, Tu non abbandoni me».
In un libro dell’anno dopo – La società cristiana – si poneva il problema della santità familiare; e sperimentava come per un coniugato fosse «più difficile che a un religioso santificarsi, perché deve santificarsi in due»; poi con i figli il problema «si dilata» e «si complica; ma tant’è, bisogna santificarsi insieme»; e ritiene che la maggiore complessità del problema il laico la risolve «quanto più amore prodiga». Egli parla della famiglia come «comunità di sacrificio, d’amore e di fede», ma insiste sul sacrificio, che «mai manca» e comporta «lacrime copiose»(9).
Perché quel grido al Cielo? I contatti che Igino aveva dal 1940 con un nuovo ordine di suore – le Figlie della Chiesa – facevano dire a sua moglie Mya che il marito sottraeva tempo e affetti a lei e ai figli. Verso la fine degli anni ’40 col suo ingresso nel Movimento dei focolari la “lacerazione” s’accresce; ed ha continue occasioni di vivere il taglio con gli affetti familiari chiesto da Gesù – «chi non lascia…» – e di vivere quel duro sermone di Gesù: «Non sono venuto a portare la pace, ma la spada» entro le mura domestiche (cf Mt 10, 34-39)(10).
Adesso, però, che Igino Giordani ha conosciuto la nuova spiritualità, possiede le risorse interiori per essere “solo donazione”; e può scrivere: «Mai come ora sono stato unito a mia moglie, immagine, come mai, della Chiesa; unito con un rapporto divenuto sacro…» (Ddf, 21.8.1964).
È lo stesso brano del Diario, in cui parla dell’unità da lui raggiunta con Maria, con gli angeli, con i santi, con Dio: «ora sono in Dio». È una “unità” tutta nel soprannaturale.
Tuttavia giunge anche qualche momento (1970) che gli fa confessare: «sono crocifisso»(11). Pare proprio che il Padre gli chieda di vivere in misura eroica il suo vangelo familiare, per giungere ad essere – come ha detto Chiara Lubich – «capostipite di schiere di coniugati» votati radicalmente all’unione con Dio, con l’unico “Sposo”.
Viene spontanea una riflessione: la vita di questo Servo di Dio non fa pensare ad un bel quadro dipinto con morbidi pennelli, ma ad un blocco di marmo modellato con duro scalpello. Erano tutti tagli e distacchi in belle realtà umane, ma tagli necessari per giungere alla unione limpida con Dio.

L’incontro con Chiara
Ritorniamo alla seconda metà degli anni ’40, quando era molto assorbito nell’agire politico.
Lo Spirito lo stimolava a crescite ulteriori, come appare evidente dai soliloqui del Diario di fuoco: esami di coscienza più severi, un insistente valorizzare l’essere incompreso e disprezzato, un soffermarsi a lungo sul paolino «è Cristo che vive in me», un volersi perdere in Cristo: cupio dissolvi et esse cum Christo; e aggiungeva un suo personalissimo pregare: «Signore, prenditi me e dammi Te» (Ddf, 21.12.1947).
Il tutto appare come una preparazione immediata a quell’incontro a cui – dirà egli stesso – la “pedagogia divina”(12) lo stava preparando da tutta la vita: «Stamane a Montecitorio sono stato chiamato da angeli» (Ddf, 17.9.1948).
Tra essi c’era Chiara, una “giovinetta” che parlava «ispirata dallo Spirito Santo». Igino ne fu folgorato, sconvolto, trasformato, avviato ad un cammino di santità, che presentava molte novità.
Il «nuovo»
Le novità ce le espone lui stesso in due capitoli di Memorie di un cristiano ingenuo(13).
Noi possiamo così riepilogarle:
– la sua robusta spiritualità tendenzialmente – ma non esclusivamente – individualistica, ora si dilatava in vita di comunione; 
– la sua volontà tenace, vigorosa, generosa, apprendeva a perdersi davvero nel volere di Dio; 
– l’intellettualismo della ragione s’incendiava e si fondeva nella carità; 
– il suo tenace cammino ascetico imboccava le vie della mistica. 
E ancora: i suoi commossi rapporti con Maria(14) si approfondivano nella contemplazione di Maria desolata; e l’amore al Crocifisso(15) si elevava fino a scoprirlo Abbandonato; ma la novità di base era questa: nella sua anima faceva irruzione una nuovissima presenza dello Spirito Santo: «Mi era sembrato un dogma troppo remoto – egli scrive –; ma ora s’era animato e di colpo era divenuto anima della mia anima… in me era entrato il fuoco»(16). Igino parla di una sua “seconda conversione”.
Un segno eloquente del nuovo cammino di santità lo scorgiamo nell’atto in cui compie la sua privata consacrazione secondo la formula suggeritagli da Chiara: «Gesù voglio essere tuo: tuo come intendi Tu; fa’ di me tutto quello che vuoi» (Ddf, 2.9.1949). 
Ci pare che la chiave stia in quel «tuo come intendi Tu»: soppianta la pur bella pretesa del «cristiano con la spina dorsale», che voleva essere lui a scegliere il “come” andare a Dio. Quella formula sarà la sua quotidiana «consacrazione mattinale», scrive in Diario di fuoco (21.2 e 20.7.1963).
Il “farsi nulla” avanza. Lo costatiamo quando lo sentiamo cantare con accenti che ricordano Teresa d’Avila e Giovanni della Croce: 
«Mi son messo a morire 
e quel che accade non m’importa più; 
ora voglio sparire
nel cuore abbandonato di Gesù...
Mi son messo a morire
a questa morte che non muore più…»
(Ddf, 9.7.1951).
Giordani va acquistando una certa familiarità con la Trinità Santissima, come scorgiamo in una paginetta di qualche anno dopo: è una preghiera o meditazione o colloquio altissimo; ma è anche, in qualche misura, realtà mistica – forse la prima – da lui vissuta per le strade della città:
«Questi passi, affaticati, per tornare a casa, sono la marcia di ritorno alla casa tua, o Padre; … tutte queste pene, si fanno gocce di sangue, del tuo Sangue, o Figlio; e questo anelito di ritorno, questa fame di divino, questo bisogno di santificarsi è partecipazione dei tuoi doni, o Spirito Santo. E così mi trovo in tram o per istrada, e sono nel ciclo tuo, o Trinità Santissima: Tu mi porti in Te, io ti porto in me; e, avviandomi alla morte fisica, cresco in Te, salendo per i valichi dell’ascesa mistica» (Ddf, 19.9.1955).

«Maria in me»
Nell’ottobre di due anni dopo gli viene concessa una esperienza di straordinaria bellezza: «Chi mi dirige – egli scrive – mi spinge verso la croce… Il tracciato che mi indica è Maria: sì che la “via crucis” è la “via Mariae”» (Ddf, 6.10.1957).
Con umiltà totale si incammina per questa duplice “via” e viene a scoprire la grandezza sia dell’“abbandono” del Figlio che della “desolazione” della Madre, fusi in un “unico dramma della Redenzione”.
«Meditando su tale mistero – su tale regalità del dolore – la sera del 1° ottobre, mese sacro a Maria, dopo le preghiere, di colpo l’anima mi fu sgombrata di cose e creature umane; e al loro posto entrò Maria, e con Gesù dissanguato, e tutta la stanza dell’anima fu piena della sua figura di dolore e d’amore. E con Lei in me intesi la frivolità dei miei affetti per cose transeunti. Per 24 ore, Ella stette, come altare che regge la vittima: Virgo altare Christi. La mia anima era la sua stanza: il tempio. Ma, dopo 24 ore, la partecipazione alla sua angoscia e l’amore per Lei fecero come un’unità tra Lei e l’anima, e parve che Lei divenisse la mia anima: non più ospite mia Lei, ma io ospite di Lei; sì che mi venne di dire: “vivo non più io, ma vive Maria in me”. La sua presenza aveva come verginizzato la mia anima, marianizzato la mia persona. L’Io pareva morto e nata al suo posto Maria, … la Tutta bella, la Madre del bell’Amore. E anche questo corpo sofferente m’appariva una sorta di cattedrale, dove Maria con Gesù morto evoca lo Sposo, il quale convoca la Trinità» (Ddf, 6.10.1957).
Così Maria scende in lui portandosi l’intera realtà del Cielo. 
Igino ha appreso dal carisma di Chiara che ora sua vocazione è non solo cantare Maria – come ha fatto prima del 1948 – ma anche e soprattutto imitarla, viverla. Perciò trova un’altra definizione del santo: «Il santo altri non è che un innamorato: innamorato della Deità, riflessa in Maria…, un innamorato della Madonna». 
E poiché non è una definizione teorica, egli sceglie di «perdersi in Lei [per] assumerne la vita… l’umiltà, la purezza, il servizio di Dio… Il santo, uomo o donna, è una copia di Maria» (Ddf, 1.5.1960).

L’«oscuramento di Dio»
Giungere a realizzare tale traguardo è più opera divina che umana. Igino Giordani capisce di potervi riuscire solo accettando con gioia la serie di interventi che il «divino potatore» va compiendo a ripetizione da anni su di lui, onde «ridurre la pianta all’essenziale: una croce» (Ddf, 26.2.1957).
Percorre così un cammino di distacco progressivo dai legami umani: incomprensioni familiari, perdita di notorietà, spegnersi di riconoscimenti politici, letterari e – quel che più lo addolora – perfino ecclesiali.
Ricorre di nuovo alla metafora del ciclo dell’albero: «Osservando con pena questa caduta di fronde (illusioni di fama e potere e amicizie), dall’albero della mia vita, in questo autunno volto all’inverno, mi sono ancora meglio accorto che la solitudine sempre più alta e fitta da cui resto circondato è fatta per un più intenso convegno amoroso con Dio: l’anima trova tempo e agio alfine per intrattenersi con lo Sposo. Ora finalmente posso mettere l’anima ad ascoltare lo Spirito Santo, a convivere con gli angeli e i beati, a unirsi con Gesù: a unirsi con Dio. E Dio è la vita. Ora, via via l’unione si fa costante. Imparo e preparo la vita del Paradiso» (Ddf, 23.6.1958).
Preparazione a «un più intenso convegno amoroso con Dio… con lo Sposo». Per andare pronto a tale convegno lo Spirito lo lavora ancora, e nel più profondo dell’anima, fino a fargli assaporare la notte di Dio. All’inizio del 1960 una sera viene a trovarsi «nell’aridità di un deserto senza un filo d’erba: arrabbiato di sete; pativo l’abbandono universale; non sentivo Dio, l’Amore, e non avevo amore di uomini» (Ddf, 28.1.1960).
Ancora qualche giorno: «Ogni tanto un tuffo. Un tuffo in una voragine nera, dove non si vede più niente, non si sente più voce, e si resta disperatamente soli» (Ddf, 11.2.1960).
Tra giugno e agosto una lunga malattia gli porta sofferenze fisiche e isolamento; e “precipita” di nuovo in un “oscuramento”. Interviene la lettura di una pagina di Teresa del Bambin Gesù, la quale gli spiega: 
«Avanza!… avanza!… Egli ti darà una notte più profonda ancora: la notte del nulla»; lei gli fa capire che quella è «una minuscola notte oscura… uno sbalzo avanti, verso l’unione con Dio» (Ddf, 16.6 e 24.8.1960).

«Inabissato nella contemplazione»
Davvero Igino fa balzi in avanti; e il giorno della festa della vergine senese, può scrivere nel suo Diario: «Parmi oggi d’aver finalmente compiuto il trasloco; il trasloco del mio essere: dall’Io a Dio» (30.4.1963).
Un altro giorno medita la via crucis; la vive e la percorre «come Gesù con lo sguardo al Padre, con la forza dell’amore», fino ad «inabissarsi nella contemplazione di Lui». 
Raggiunge altri momenti mistici: «Ecco, l’immensità di Lui, che si fece uomo, che si fece pane, io la sento nell’intimo della mia anima: in un punto così piccolo da parer inesistente: in una capacità minima. Mi volgo all’interno e L’ascolto: Lo vivo: si stabilisce, nel fondo dell’essere, un colloquio con l’Eterno: Dio in me» (Ddf, 7.8.1963).
E l’anno dopo: «Ora sento che si vola, d’attimo in attimo, verso di Lui irraggiungibile e pur vicino. Vicino sì che già comincio a essere in Lui. Prima, l’unione m’era parsa uno stare con Dio: ora, mi appare unità, che è uno stare in Dio sino a farsi Lui. Si capisce: nelle proporzioni con cui un’anima, figlia di Dio, può unirsi al Padre. Eppure, anche la goccia d’un Oceano è oceano» (Ddf, 21.8.1964).
Ancora un momento di luce altissima: «Lunedì scorso, meditando gl’insegnamenti di San Giovanni della Croce, il Signore… mi fece vedere, in una conca di luce, che io avevo raggiunto l’ideale a cui inutilmente, per anni, tra delusioni e propositi, avevo aspirato… ero prostrato nella nullità – nel Nulla –, cioè avevo ritrovato me stesso con di fronte l’Onnipotente. Di colpo mi si parò innanzi la bellezza della conquista, che poi era nulla più che un dono del Signore: e con la bellezza una pace serena, una gioia verginale s’erano depositate nella mia anima» (Ddf, 30.1.1970).
Le esperienze di intimità soprannaturale si ripetono; possiamo ricordare un profondo momento eucaristico: «Stamane, in chiesa, mi si è fatto un vuoto nello spirito; e Dio l’ha colmato di Sé. Mi son trovato tutto preso in Lui e identificato, quasi… Avevo trovato il tanto ricercato Io per la prima volta: nella inesistenza di me, nell’immersione della mia anima in quella effusione dolce, indefinibile, serena, semplice che era l’emanazione dell’Eucaristia: l’anima divina umana di Cristo» (Ddf, 19.1.1972).
E, due anni prima della partenza per il Cielo, un’altra esperienza d’anima: «Stamane m’è parso d’essermi avvicinato a Dio. Mai, credo, l’avevo sentito più vicino. La mia gioia è stata, ed è, grandissima. Sento d’aver trovato l’accesso libero per andare a Lui. Ora sono in terra e abito in cielo… Sono di Dio. Non mi serve altro» (Ddf, 27.5.1978).

Il fratello «ianua coeli»
La ricerca sempre più radicale del suo stare in Dio egli la manifesta con questa espressione: Solus cum sola. In questo rapporto di Dio solo con la sua anima sola, quale posto Giordani assegna al fratello?
Nella prima pagina del suo Diario di fuoco (1.5.1941) egli dice a se stesso: i fratelli sono «l’immagine di Dio… e tu vedi sensibilmente il Signore in loro».
E non era una riflessione teorica: nella sua partecipazione alla guerra vissuta da pacifista (1915-1916), scorgendo a tiro del suo fucile un soldato austriaco ferito e spaventato, non lo aveva odiato, non gli aveva sparato, perché – scriverà nel 1925 – «mi sono ricordato del logion di Gesù: “vedesti il fratello, vedesti il Signore”»(17).
Nelle stesse pagine iniziali del Diario s’impegna ad “inserirsi” di più nel Corpo mistico, ricordando a se stesso che “tutti” gli uomini sono «riscattati da un unico sangue». Si ammonisce: separarsi dai fratelli è «separarsi da Cristo» (Ddf, 1.5.1941). 
E si esorta: «Mettiti a vivere nella Chiesa… e [anche] gli estranei divengono membra del tuo stesso corpo, spirito del tuo spirito… per essi Cristo si comunica a noi e noi ci comunichiamo a Lui» (Ddf, 15.5.1941).
Appare già ben definita nel suo meditare profondo una realtà, che poi, alla luce del carisma di Chiara, diverrà la base fondamentale del suo vivere, e che chiamerà: «il circuito Dio – il fratello – io».
La nuova vita che comincerà a vivere dopo il settembre 1948, gli permette di raccontare esperienze d’anima di questo genere: il nostro «è un Movimento che ci induce a fare la scalata a Dio in unione, in cordata… Il fratello vale come ianua coeli… Chi ci fa compagnia è il Padre… la comunione c’è se dal fratello si passa al Padre e dal Padre si torna al fratello» (Ddf, 16.10.1959).
E il fratello comincia ad entrare in un parallelo eucaristico: «Dio scende a me per il tramite del pane; io salgo a Lui per il tramite del fratello» (Ddf, 14.4.1960).
Per risalire a Dio dopo momenti di buio Igino scopre una via, di assoluta efficacia, in certi fratelli speciali: i Superiori (scrive con la S maiuscola).
«Di colpo – egli racconta – mi ha rimesso su un podio di luce il contatto coi Superiori. Davvero essi per un’anima consacrata sono il tramite al Paradiso: la congiunzione con Dio… Non ti salvi che annientandoti davanti a Dio, obbedendo ai Superiori, sostituendo alla tua la sua, e la loro volontà… Mi sento ora davvero consacrato: cioè appartenente a Lui». (Ddf, 20.7.1963).
Immerso col suo ardore totalitario nella spiritualità comunitaria dell’unità, il dialogo con Dio gli si è realizzato sempre più nella comunione con i fratelli. Penetra in modo nuovo il senso dell’antico «vedesti il fratello, vedesti il Signore», fino a sentire di trattare veramente con Dio amando il fratello. Ha già sperimentato che più ama questo «più s’inabissa nella contemplazione di Lui» (Ddf, 7.8.1963).
E in un colloquio intimo con Gesù lo ringrazia commosso, perché, gli dice: «Il tuo amore m’ha scoperto i fratelli; me ne ha fatto il viatico per salire sempre di terra in cielo» (Ddf, 8.12.1973).
Dopo che è andato a vivere in focolare (nel 1974; stava per completare l’80° anno di età), egli constata che i fratelli non solo lo fanno salire in Cielo, ma gli danno quaggiù la gioia del Cielo: Giordani vive ora «in continuo contatto con Dio», e canta: «la letizia della giornata viene non da me, ma dai fratelli che incontro…: essi mi danno Dio” (Ddf, 26.1.1976).
La gioia più grande gli viene dallo scoprire in modo nuovo un particolare – sempre da lui ammirato con commossa venerazione – dentro «il giardino della Chiesa: esso è fatto di quei fiori che sono le vergini e i vergini consacrati a Dio. Nei vari aspetti e vesti in cui si presentano compongono una delle visioni di bellezza che dà la presenza di Dio nelle anime» (Ddf, 14.1.1977).
Contempla ancora tale “visione” in un incontro dei focolarini; ed esulta: «La verginità in loro si rivela come stanza di Dio. Ognuno di loro passa come un ostensorio, che dona Gesù Eucaristia» (Ddf, 24.12.1976). 
Ottiene una “sublimazione di gaudio” nel costatare che il fratello oltre che essere via a Dio è anche sempre più via di Dio a lui; è “sacramento di Dio”, così come lo è l’Eucaristia (28.4.1977 e 19.1.1978).
Negli ultimi tempi della sua vita terrena intensifica il vivere e comunicare quel ch’egli chiama “mistero d’amore”: è il «mistero in cui agisce la triade: Dio – Fratello – Io» (Ddf, 25.4.1979).

«Essere Te»
Ad un certo punto del suo santo viaggio, nella ricorrenza della festa dell’Immacolata dal profondo del cuore gli sale una preghiera densa di gratitudine, che è quasi un bilancio dei suoi rapporti con il Signore: «Gesù, figlio di Maria Immacolata, tu sai che non finisco di ringraziarti dei doni che m’hai fatti… E in realtà questa vita, pur coi miei peccati e difetti, non è stata, in quanto bellezza, forza, sapienza, unione con Dio, non è stata che Te… E di questo soprattutto ti ringrazio: d’avermi, in questa vita, fatto essere Te… E Tu sei per me eternità conquistata» (Ddf, 8.12.1973).
E il suo essere Gesù, e Gesù in croce, sul letto della sua malattia terminale raggiunge un punto di luce altissima, con l’impegno di “dare gioia” al Cielo: «Mai siamo stati tanto Gesù quanto ora che, concrocefissi con Lui, Gli diamo la gioia di una partecipazione viva… Siamo unificati con Lui nell’atto di salvare l’umanità. Rimettiamo nelle Sue mani il nostro spirito!» (Ddf, 25.1.1980).
È come un timbro – un sigillo d’oro – posto a conclusione di una vita spesa tutta all’interno e sulle frontiere della Chiesa: come generoso partecipe alla redenzione e, dopo l’incontro con Chiara, come costruttore – con lei e nel carisma di lei – di una umanità rinnovata dall’Ideale dell’unità.

Tommaso Sorgi


01) Memorie di un cristiano ingenuo, Città Nuova, Roma 1981, p. 51.
02) Ne scriverà la vita: Contardo Ferrini. Un santo fra noi, Milano 1949, p. VI.
03) Vedi Quaderno dei libri letti, dove il giovane Igino registrava le sue letture dal 1912 al 1930.
04) Rivolta cattolica, Torino 1925, Città Nuova 19975, p. 186 (rip. in Diario di fuoco, nuova ed. ampliata, Città Nuova, Roma 1990, p. 18): troviamo la data della lettura nel Quaderno, cit. nella nota precedente. 
05) Memorie, cit., p. 150; v. anche pp. 131, 144, 147. 
06) Segno di contraddizione, Morcelliana, Brescia 1933, p. 202.
07) Tale titolo è da lui scritto a mano su una copia del dattiloscritto preparato per la tipografia.
08) Memorie, cit., pp. 113-114.
09) La società cristiana, Ed. Salesiana, Pisa 1942, pp. 30 e 37-38.
10) Per il “chi non lascia…” si veda in part. Lc 14, 26-27 e 18, 29-30, che tra gli affetti presi in considerazione include anche quelli tra marito e moglie. L’esigente “sermone” di Matteo e di Luca non è da fraintendere, ricordando che è fatto da Colui che afferma l’assoluta indissolubilità dell’unione coniugale.
11) È una paginetta manoscritta preparata per il Diario, ma rimasta inedita.
12) Memorie, cit., p. 162.
13) Ibid., pp. 147-169.
14) Le aveva riservato anche un intero libro: Maria di Nazareth, Salani, Firenze 1943.
15) Rivolta cattolica, cit., pp. 23-25 e 205-207; Segno di contraddizione, cit., pp. 38-63; Gesù di Nazareth, SEI, Torino 1946, pp. 741-788.
16) Memorie di un cristiano ingenuo, cit., pp. 150-152.
17) Rivolta cattolica, cit., p. 22.

Profilo

Come ideale l'umanità

"Entrato nel nuovo secolo e nelle elementari, precisamente nel 1901, mio padre mi assunse al lavoro, come garzone muratore, nei giorni liberi e nelle vacanze estive. Guadagnavo, mi ricordo, cinque soldi la settimana; pari a una lira ogni quattro settimane. Il mestiere mi piaceva, e ardevo di diventare autonomo. Ci vedevo un lato etico e uno eroico" 

Così Igino Giordani (17.9.1894 – 18.4.1980) si racconta all’inizio di un’avventura che visse con intensità di pensiero e ardore d’ideali (sarà chiamato "Foco"). Ebbe un suo personalissimo timbro nel battersi per grandi traguardi umani: libertà, giustizia sociale, pace (al servizio del "bisogno d’amore fra le genti", scriveva nel 1919). Per essi affrontò precisi impegni culturali e politici nella crisi del vecchio Stato liberale, nel travaglio sotto il regime totalitario, e poi nella rinascente democrazia italiana. Testimoniò con la vita e proclamò con la penna realtà ecclesiali con cui precorreva alcuni contenuti del Concilio Vaticano II.
Grazie all’intervento di un benefattore aveva potuto continuare gli studi. Chiamato alle armi nel 1915, non sparò contro altre persone ("non nemici io ci vidi"), ma operò contro una fortificazione avversaria con impresa rischiosa, che gli guadagnò la medaglia d’argento e gli procurò una invalidità permanente.

Laureato in lettere esercitò diverse attività professionali: fuori dall’insegnamento per le restrizioni politiche, andò in USA per studi da bibliotecario, e come tale si impiegò alla Vaticana. Per sostenere la famiglia – ebbe quattro figli -, ma anche in forza di una incomprimibile vocazione alla penna, fu scrittore e giornalista fecondissimo: migliaia di articoli, qualche centinaio di opuscoli e saggi, oltre cento volumi. Scrisse di patristica, apologetica, ascetica, agiografia, ecclesiologia, politica ed anche narrativa.

La notorietà da lui raggiunta in Italia e all’estero ci viene indicata dalla fortuna di alcuni suoi libri, che ebbero più edizioni e furono tradotti in Belgio, Francia, Stati Uniti, Argentina, Brasile, Spagna, Cecoslovacchia, Serbia, Portogallo, India, Giappone e Cina. Tuttora suoi volumi vengono tradotti, qualcuno anche in arabo.
Conosceva diverse lingue e pubblicò anche versioni dal greco e dal latino e da alcune lingue moderne.

Fu articolista in giornali e riviste italiane ed estere – come il "Commonweal" di New York e il "Novidades" di Lisbona.Tenne la direzione di quotidiani ("Il Quotidiano" 1944-1946, "Il Popolo" 1946-1947) e di periodici ("Il Popolo Nuovo" 1924, "Parte Guelfa" 1925, "Fides" 1930-1962, "La Via" 1949-1953, "Il Campo" 1946, "Città Nuova" 1959-1980).

E’ uno dei casi esemplari di cultura non accademica, ma di ampia incidenza: oggi viene proposto all’attenzione dei docenti da giovani che in università italiane ed estere svolgono tesi di laurea sull’uno o l’altro aspetto della sua multiforme testimonianza di vita e di pensiero.
Come politico visse una prima esperienza negli anni ’20 con don Sturzo, del quale si guadagnò la stima, ricevendo incarichi nel settore della stampa; riprese poi con De Gasperi e dal 1946 al 1953 fu prima tra i costituenti e poi "deputato di pace" (così amò definirsi).

Nel settembre del 1948 incontrava Chiara Lubich. Colpito dalla forte spiritualità del Movimento dei Focolari, vi aderì subito, collaborando a metterne in luce alcuni aspetti sia interiori che di socialità, tanto da essere considerato un confondatore.
"In me era entrato il fuoco", confesserà. Il suo agire politico saliva di tono: da polemista sferzante, come era stato nel 1924-25, diveniva sostenitore del dialogo, proponeva intese inter-partitiche per la pace, e una politica in cui anche l’avversario sia amato. Insieme con un socialdemocratico, presentò la prima proposta di legge per l’obiezione di coscienza.
Come cristiano potè dichiarare: "prima avevo cercato, ora ho trovato". Lo diceva specialmente in merito al totale essere Chiesa del fedele laico; e come focolarino apriva vie concrete per una ecclesiologia di comunione col proporre il pieno inserimento dei coniugati nel focolare, in unità di vita con celibi e sacerdoti.
Negli ultimi anni si dedicò in particolare all’attività ecumenica come direttore del Centro "Uno".

Family Fest

Familyfest

E’ un meeting internazionale che si svolge ogni 12 anni. L'ultimo: Familyfest 2005 ... al Papa della famiglia, ha avuto luogo nel mese di aprile, poco dopo la dipartita di Giovanni Paolo II, dedicato a Lui in segno di gratitudine. E' stato un unico avvenimento internazionale formato da una rete di 200 meeting, in altrettante città e capitali di 78 Paesi nei 5 continenti, in diretta RAI Uno. Grande rispondenza ha avuto il lancio di un progetto di solidarietà:
"Una famiglia, una casa". Il progetto, nato dalle famiglie dei quartieri più diseredati della metropoli filippina, si estende ora anche a Thailandia e Sri Lanka colpite dallo Tsunami, e alle periferie di Cochabamba in Bolivia.

Il primo Familyfest, nel maggio 1981, aveva avuto il suo culmine nell'intervento del Papa Giovanni Paolo II. Si era tenuto al Palaeur di Roma con oltre 20.000 partecipanti da tutti i continenti. Ancora al Palaeur di Roma, il Familyfest 1993, svolto in preparazione del 1994, Anno internazionale della famiglia, era stato trasmesso in diretta mondovisione da RAI 1 e RAI SAT e ripreso da televisioni di tutto il mondo. Insieme a testimonianze, dibattiti, momenti artistici, lanciati progetti di solidarietà per l'infanzia svantaggiata. La tragedia jugoslava allora in corso, aveva dato anche lo spunto per un progetto di ospitalità e lavoro a favore delle donne bosniache uscite dai lager.

Sostegno a distanza

Sostegno a distanza

Negli anni ’70 imperversava la guerra in Libano e molte ‘famiglie nuove’, sotto la spinta di dare casa e affetto ai numerosi orfani, si sono offerte per l’adozione. Iniziativa che, pur nobilissima, non solo non era praticabile dal punto di vista legale, ma con l’espatrio dei bambini avrebbe tolto al Paese una speranza di futuro. Nello spirito di ascolto e condivisione con i membri dei Focolari in Libano, è scaturita un’altra idea, risultata poi originale e ottimale: dare a zii, nonni, parenti, la possibilità di crescerli mediante un aiuto economico disteso nel tempo, rispettando così il diritto del bambino di vivere nella propria terra. Famiglie Nuove è una delle prime realtà associative in Italia ad aver messo in atto questa forma semplice e diretta di cooperazione allo sviluppo, denominata allora “adozione a distanza”. Termine che più avanti si preciserà in ‘sostegno a distanza’ (SaD) col significato di una solidarietà specifica per l’infanzia svantaggiata di Paesi in via di sviluppo. Per la diffusione mondiale dei Focolari, l’iniziativa si è ben presto allargata in altre aree geografiche dove, a causa di povertà endemiche, lo sviluppo stenta a decollare, implementando e finanziando interventi di promozione umana e sociale per i bambini di favelas brasiliane, villas miserias argentine, barrios latino-americani, slums asiatici o africani, ecc.

Ma le emergenze continuano e con esse le richieste di nuovi sostegni per ampliare i progetti esistenti o aprirne di nuovi.

Contatti
e-mail sodist@famiglienuove.org
Telefono 06.9454.6412 
Fax 06.9454.8863

Formazione

Formazione

Scuola Loreto - E' la scuola internazionale per famiglie che Famiglie Nuove realizza sin dal 1982 ed ha formato sinora 1200 coppie di tutto il mondo. Più recente è l'avvio di corsi per mediatori familiari riconosciuti dalla Comunità Europea. Sede la cittadella di Loppiano nei pressi di Firenze. Altre scuole sorgono in vari altri Paesi.

Congressi internazionali a tema- Sono caratterizzati da scambio e confronto tra famiglie ed esperti a livello mondiale. Hanno cadenza periodica.

Family-point - Percorso formativo per la famiglia sulle più scottanti e attuali problematiche familiari. Sede: la cittadella di Loppiano

Presentazione


E’ un modello che attrae e porta frutti.
Coppie sul punto di frantumarsi
ritrovano la forza per cercare un dialogo nuovo
e per ricostruire quel che si era spezzato.
In un mondo che ha dimenticato i grandi valori
e che assiste inerte alla disgregazione
della “cellula fondamentale della società,
la testimonianza di famiglie motivate
da valori profondi, solidali, aperte,
è fermento per una società più impegnata nella dimensione sociale,
sia religiosa che civile.


Il Movimento Famiglie Nuove
Nei suoi quasi quarant’anni di vita - è nato nel 1967 - il Movimento Famiglie Nuove ha lavorato per mettere a punto un nuovo modo di essere famiglia e una innovativa cultura familiare costruita lungo quattro linee guida: educazione, formazione, socialità e solidarietà.
Tutto parte dall’impegno dei suoi membri a vivere con radicalità la spiritualità dei Focolari, quella dell’unità. Una "vocazione" che, in famiglia, è anche formazione. Il rapporto di profonda unione che i genitori costruiscono giorno per giorno diventa un forte riferimento educativo per i figli. E in questa cornice anche la differenza tra generazioni non è più scontro fra opposti, ma positivo scambio di doni.
"La famiglia non si chiude in se stessa – diceva Igino Giordani, da Chiara Lubich considerato con-fondatore di Famiglie Nuove – ma si espande come cellula che vive per sé di quanto convive coi fratelli. La società nuova nasce, come da fonte sacra naturale, dalla famiglia che vive il Vangelo."

Parola di Vita - Gennaio 2008

Parola di Vita - Gennaio 2008 (bambini)

Parola di Vita - Gennaio 2008


"Pregate continuamente"
(1 Tess 5,17)
gennaio 2008

Quest’anno la "Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani" celebra il suo centenario. L'"Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani" fu celebrato per la prima volta dal 18 al 25 gennaio nel 1908. Sessant'anni più tardi, nel 1968, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani fu preparata congiuntamente dalla Commissione Fede e Costituzione (Consiglio Ecumenico delle Chiese) e dal Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani (Chiesa cattolica). Così da allora ogni anno è prassi comune ritrovarsi insieme, cristiani cattolici e di varie Chiese, per preparare un libretto con i suggerimenti per la celebrazione della Settimana di preghiera.

La Parola, scelta quest’anno da un vasto gruppo ecumenico degli Stati Uniti, è tratta dalla prima lettera di san Paolo ai cristiani di Tessalonica, in Grecia. Era una comunità piccola, giovane e Paolo sentiva il bisogno che l’unità tra i membri fosse sempre più salda. Per questo li invitava a "vivere in pace", ad essere pazienti con tutti, a non rendere male per male ma a fare il bene gli uni agli altri e a tutti, ed anche a "pregare incessantemente", quasi a sottolineare che la vita d’unità nella comunità cristiana è possibile solo attraverso una vita di preghiera. Gesù stesso ha pregato il Padre per l’unità dei suoi: "Che siano tutti una cosa sola" .

"Pregate continuamente"

Perché "pregare sempre"? Perché la preghiera è essenziale alla persona in quanto essere umano. Siamo stati creati ad immagine di Dio, come un "tu" di Dio, in grado di essere in rapporto di comunione con Lui. La relazione d’amicizia, il colloquio spontaneo, semplice e vero con Lui - questa è la preghiera - è dunque costitutivo del nostro essere, ci consente di diventare persone autentiche, nella piena dignità di figli e figlie di Dio.

Creati come un "tu" di Dio, possiamo vivere in costante rapporto con Lui, col cuore riempito di amore dallo Spirito Santo e con la confidenza che si ha verso il proprio Padre: quella confidenza che porta a parlargli spesso, a esporgli tutte le nostre cose, i nostri pensieri, i nostri progetti; quella confidenza che fa attendere con impazienza il momento dedicato alla preghiera - ritagliato nella giornata da altri impegni di lavoro, di famiglia - per mettersi in contatto profondo con Colui dal quale sappiamo di essere amati.

Occorre "pregare sempre" non soltanto per le nostre necessità, ma anche per concorrere a edificare il Corpo di Cristo e concorrere alla piena e visibile comunione nella Chiesa di Cristo. È questo un mistero che possiamo un po’ intuire pensando ai vasi comunicanti. Quando s’introduce nuova acqua in uno di essi, il livello del liquido si alza in tutti. Lo stesso avviene quando uno prega. La preghiera è un’elevazione dell’anima a Dio per adorarlo e ringraziarlo. Analogamente quando uno si eleva, si elevano pure gli altri.

"Pregate continuamente"

Come fare a "pregare continuamente", specialmente quando ci troviamo nel vortice del vivere quotidiano?

"Pregare sempre" non significa moltiplicare gli atti di preghiera, ma orientare l’anima e la vita verso Dio, vivere compiendo la sua volontà: studiare, lavorare, soffrire, riposare e, anche, morire per Lui. Al punto da non riuscire più a vivere nel quotidiano senza essersi accordati con Lui.
Il nostro agire si trasforma così in un’azione sacra e l’intera giornata diventa una preghiera.

Ci può aiutare l'offrire a Dio ogni azione, accompagnandola con un: "Per te, Gesù"; o, nelle difficoltà, "Che importa? Amarti importa". Così tutto trasformeremo in un atto d’amore. E la preghiera sarà continua, perché continuo sarà l’amore.

Chiara Lubich