sabato 26 gennaio 2008

Chiara Luce - Una grande avventura: stare al gioco di Dio (seconda parte)

Il verdetto improvviso
Prosegue gli studi al Liceo classico, poi a 17 anni, l’imprevedibile. Giocando a tennis, avverte un lancinante spasimo alla spalla sinistra. Dapprima non ci fa caso, come i medici. Ma le ricadute spingono ad approfondire le ricerche. Dopo dolorosi esami ed inutili interventi il verdetto: sarcoma osteogenico con metastasi, una delle forme tumorali più gravi e dolorose. Chiara Luce subito rimane assorta in silenzio, ma dopo dalle sue labbra esce il sì alla volontà di Dio, nell’amore al suo "Gesù abbandonato". Senza pianti né ribellioni, accoglie la notizia con coraggio: "Ce la farò, sono giovane", dice. Non perderà mai il suo luminoso sorriso e, mano nella mano con i genitori affronta cure dolorosissime e trascina nello stesso Amore chi l’avvicina. Papà Ruggero dice: "Avevamo la certezza che Gesù era in mezzo a noi. Lui ci dava la forza". Inizia un calvario che durerà circa tre anni e un profondo cambiamento, una rapida scalata alla santità.
Iniziano i ricoveri, e lei si distingue per l’altruismo. Si prende cura di una ragazza tossicodipendente, gravemente depressa, trascurando il riposo e accompagnandola dovunque, alzandosi dal letto nonostante il dolore che le provoca il grosso callo osseo che ha sulla schiena: "Avrò tempo dopo per dormire", dice.
Il filosofo Cioran si chiedeva: "Si è mai visto un santo gioioso?". Chiara Luce lo è, perché Gesù diventa sempre più suo "sposo". Scrive: "Questo male Gesù me lo ha mandato al momento giusto". È in ospedale a Torino. "All’inizio abbiamo l’impressione di andarla a trovare per sostenerla - dice un Gen -. Ma ben presto capiamo che non possiamo più fare a meno di lei, come attratti da una calamita".
Il decorso della malattia è impietoso, ma Chiara Luce cerca di condurre una vita normale e gioiosa. Uno dei medici, Antonio Delogu dice: "Dimostra col suo sorriso, con i suoi grandi occhi luminosi, che la morte non è, solo la vita è". Subirà due operazioni dolorosissime. La chemioterapia le fa cadere i capelli, a cui tiene moltissimo. A ogni ciocca di capelli che perde, ripete un semplice ma intenso: "Per te, Gesù". I genitori, sempre presenti, le ricordano che sotto quelle sofferenze si coglie un misterioso disegno di Dio. E Chiara Luce si rimette nell’amore. Così, ad un amico che parte per una missione umanitaria in Africa, consegna i suoi risparmi: "A me non servono, io ho tutto".

Niente morfina: "Voglio dividere ancora per un po' con Lui la croce"
Esiste una registrazione di questo periodo in cui Chiara Luce racconta di una dolorosa visita medica: "Quando i sanitari hanno iniziato a fare questo piccolissimo intervento, però fastidioso, è arrivata una persona, una signora, con un sorriso luminosissimo, bellissima: mi s’è avvicinata, mi ha preso la mano e mi ha infuso coraggio. Com’è arrivata, è sparita: non l’ho più vista. Ma sono stata invasa da una gioia grandissima, e m’è scomparsa la paura. Ecco, in quell’occasione ho capito che, se fossimo sempre pronti a tutto, quanti segni Dio ci manderebbe".
Il male avanza e i dolori aumentano. Non un lamento; sulle sue labbra: "Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io". Perde l’uso delle gambe. Dice: "Se dovessi scegliere tra camminare o andare in paradiso, sceglierei quest’ultima possibilità". L’ultima tac non lascia speranza. E giunge il momento della prova, intensa. Ma non si arrende, anche con l’aiuto di Chiara Lubich che le scrive: "Dio ti ama immensamente e vuole penetrare nell’intimo della tua anima e farti sperimentare gocce di cielo".
Rifiuta la morfina: "Toglie la lucidità, e io posso solo offrire il dolore a Gesù, perché voglio dividere ancora per un po’ con lui la croce". Dona tutto per la Chiesa, la diocesi, i giovani, i lontani, il Movimento, le missioni, ... rimanendo serena e forte, convinta che "il dolore abbracciato rende liberi". Ripete: "Non ho più niente, ma ho ancora il cuore e con quello posso sempre amare".
Chiara Luce appare ormai adulta. Le scrive un medico, Fabio De Marzi: "Non sono abituato a vedere dei giovani come te. Ho sempre pensato alla tua età come al tempo delle grandi emozioni, delle intense gioie, degli ampi entusiasmi. Mi hai insegnato che è anche l’età d’una maturità assoluta".
La sua cameretta, nell’ospedale Regina Margherita a Torino e a casa, è luogo di incontro, di apostolato, di unità: è la sua chiesa. Anche i medici, talvolta non praticanti, rimangono sconvolti dalla pace che aleggia intorno a lei, ed alcuni si riavvicinano a Dio. Ancor oggi la ricordano, ne parlano e la invocano.
Diceva agli amici: "Voi non potete immaginare qual è ora il mio rapporto con Gesù. Avverto che Dio mi chiede qualcosa di più, di più grande. Forse potrei restare su questo letto per anni, non lo so. A me interessa solo la volontà dì Dio, fare bene quella nell’attimo presente: stare al gioco di Dio". E ancora: "Ero troppo assorbita da tante ambizioni, progetti e chissà cosa. Ora mi sembrano cose insignificanti, futili e passeggere. Ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela. Se ora mi chiedessero se voglio camminare (l’intervento la rese paralizzata con dolorosissime e continue contrazioni alle gambe), direi di no, perché così sono più vicina a Gesù".
Alla mamma preoccupata continua a ripetere: "Fidati di Dio, poi hai fatto tutto"; e "Quando io non ci sarò più, segui Dio e troverai la forza di andare avanti".
A chi la va a trovare esprime i suoi ideali, mettendo gli altri sempre al primo posto. Al "suo" vescovo, mons. Livio Maritano, mostra un affetto particolarissimo; nei loro ultimi, brevi ma intensi incontri, un’atmosfera soprannaturale li avvolge: nell’Amore diventano una cosa sola; sono Chiesa!

Quella luce negli occhi da dove viene?
19 luglio 1989: un’emorragia terribile. Viene salvata in extremis. Dirà: "Non versate lacrime per me. Io vado da Gesù. Al mio funerale non voglio gente che pianga, ma che canti forte".
Altre cure, in fleboclisi: "Cos’è questa goccia che cade nei confronti dei chiodi nelle mani di Gesù?". E accompagna ogni goccia con un: "Per te". Riceve la visita del cardinale Saldarini, che le chiede: "Hai degli occhi stupendi, una luce meravigliosa. Da dove ti viene?". E lei: "Cerco di amare tanto Gesù".
Talvolta, cosa insolita, chiede ai genitori di non far entrare nella sua stanzetta gli amici. Un giorno si spiega: "Non era segno di minor affetto o di tristezza. Anzi. Era che faticavo a scendere dal punto in cui abitavo e poi risalirvi". E "aria di paradiso" sperimentano coloro che le sono accanto. Scrive agli amici: "Un altro mondo m’attendeva e non mi restava che abbandonarmi. Ma ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela".

La festa di nozze
Lei, soprannominata Luce da Chiara Lubich, con la quale ha un intenso e filiale rapporto epistolare fin da piccina, ora è veramente luce per tutti e presto sarà nella Luce. Non ha paura di morire e non l’ha mai avuta. Aveva detto alla mamma uno degli ultimi giorni: "Non chiedo più a Gesù di venire a prendermi per portarmi in Paradiso, perché voglio ancora offrirgli il mio dolore, per dividere con lui ancora per un po’ la croce".
Ormai sicura della sua sorte, che d’altronde non vuole cambiare (non desidera chiedere la sua guarigione, quanto di essere capace di fare la volontà di Dio). Chiara si prepara all’incontro: "È lo Sposo che viene a trovarmi" e prepara con la madre la "festa di nozze", cioè il funerale. Lei stessa spiega come confezionare l’abito, sceglie musiche, fiori, canti e letture: "Mentre mi preparerai, mamma, dovrai ripetere: ‘Ora Chiara Luce vede Gesù’".
"Le espressioni di questo periodo - sostiene Maria Grazia Magrini, colei che sta raccogliendo il materiale su Chiara Luce per il "processo di beatificazione" - assomigliano tanto a quello di santa Teresina del Bambino Gesù". Come una delle ultime: "Bisogna saper morire a colpi di spillo per saper poi morire di spada".
Ricevendo per l’ultima volta Gesù Eucaristia appare immersa in Lui e supplica che le venga recitata "quella preghiera: Vieni, Spirito Santo, manda a noi dal Cielo un raggio della tua luce".
Finché arriva l’incontro col suo "sposo". Accanto a lei il padre e la madre. Fuori dalla porta, gli amici. C’è pace, quasi naturalezza. E il suo Sposo viene a prenderla all’alba di domenica 7 ottobre 1990, quattro del mattino, dopo una notte molto provata. È il giorno della Vergine del Rosario. Queste le ultime parole: "Mamma, sii felice, perché io lo sono. Ciao". Ultimo dono, le cornee; ultimo messaggio alla gioventù: "I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, però vorrei passare loro la fiaccola come alle Olimpiadi. I giovani hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene".
Al funerale assistono duemila persone. Anche chi non crede vuole esserci. I commenti parlano di paradiso, di gioia, di scelta di Dio indotta da quella di Chiara Luce. Dice il vescovo Maritano nella sua omelia: "Ecco il frutto della famiglia cristiana, d’una comunità di cristiani, il risultato di un movimento che vive l’amore scambievole e ha Gesù in mezzo".

Alcuni pensieri di Chiara Luce
"È stata una notte terribile, ma non ho sprecato un solo momento, perché ho offerto tutto a Gesù".

"A me interessa solo la volontà di Dio. Fare bene quella, nell’attimo presente: stare al gioco di Dio".

"Chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza

"Ho riscoperto il Vangelo sotto una nuova luce. Ho scoperto che non ero una cristiana autentica perché non lo vivevo sino in fondo. Ora voglio fare di questo magnifico libro il mio unico scopo. Non voglio e non posso rimanere analfabeta di un così straordinario messaggio. Come per me è facile imparare l’alfabeto, così deve essere anche vivere il Vangelo".

Hanno detto di Chiara Luce
Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari: "Chiara Luce! Quanta luce si legge sul suo volto, quanta luce nelle sue parole, nelle sue lettere, nella sua vita tutta protesa ad amare concretamente tanti! ... Scelta radicale di Gesù crocefisso e abbandonato, la sua; scelta di ciò che fa male e che, se non si ama, può trascinare lo spirito in una galleria oscura. Con Lui ha vissuto, con Lui ha trasformato la sua passione in un canto nuziale".

Mons. Livio Maritano, vescovo di Acqui Terme, promotore della causa di beatificazione: "La sua è una testimonianza significativa in particolare per i giovani. Basta considerare come ha vissuto la malattia, vedere l’eco suscitata dalla sua morte. Non si poteva lasciar cadere un esempio di questa portata. C’è bisogno di santità anche oggi. C’è bisogno di aiutare a trovare un orientamento, uno scopo alla vita, aiutare i giovani a superare le loro insicurezze, la loro solitudine, i loro enigmi di fronte agli insuccessi, al dolore, alla morte. I discorsi teorici non li conquistano, ci vuole la testimonianza. Nei colloqui con lei notavo una maturità di gran lunga superiore alle giovani della sua età. Aveva colto l’essenziale del cristianesimo: Dio al primo posto; Gesù, con cui aveva un rapporto spontaneo, fraterno; Maria come esempio; la centralità dell’amore; la responsabilità di annunciare il Vangelo. Tutto questo, collaudato dall’esperienza della sofferenza e della morte, non temuta ma attesa, ha reso la sua vicenda veramente singolare".

da un articolo di Michele Zanzucchi - Città Nuova

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